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Basilica Apostolorum

Chiesa di San Nazaro in Brolo in Milano

 

La Basilica Apostolorum -oggi conosciuta come San Nazaro in Brolo- è il primo edificio a forma di croce latina, sorge a meridione dell’Universitas Studiorum Mediolaniensis. La chiesa segna una svolta nella storia dell’architettura cristiana, è ideata dal Vescovo Sant’Ambrogio internamente ad un'area cimiteriale pagano-cristiana, nell'area del Coemeterium Romanum, lungo la via colonnata che si dirigeva, fuori dalle mura, a Laus Pompeia e a Roma.

L’ubicazione è altamente significativa, il tempio cristiano è il primo pensato da Ambrogio proprio sulla via per Roma, l’attuale Corso di Porta Romana, e per questo dallo stesso indicata come “basilica romana”.

La chiesa venne iniziata a partire dall’anno 382. Per la consacrazione, nel giugno 386, furono poste alcune reliquie degli Apostoli e perciò assunse il titolo di “Basilica Apostolorum”, anche in ossequio dell’amore a Roma e contro le numerose eresie combattute per difendere l’ortodossia cattolica da parte del Vescovo milanese.  Appare assai complicato il problema dell'identificazione delle reliquie: taluni ritengono trattarsi di quelle di San Giovanni, Sant’Andrea e San Tommaso –a tal riguardo gli storici sostengono che Sant’Ambrogio stesso si sia procurato nel 381 ad Aquileia o Concordia parti delle spoglie mortali dei Santi Apostoli-, altri ipotizzano siano addirittura le reliquie dei Santi Paolo e Pietro alle quali -solo più tardi- si sarebbero aggiunte quelle degli altri tre apostoli.

 

San Nazaro in Brolo

 San Nazaro in Brolo, detto anche Basilica degli Apostoli, è un edificio paleocristiano caro ai milanesi in quanto è –come già detto- la prima delle chiese volute da Sant’Ambrogio sulla via che conduceva a Roma.  

La vicenda edificatoria san Nazaro, l'antica Basilica Apostolorum, costruita da sant'Ambrogio fra il 382 e il 386, quando fu consacrata. Era perciò la prima chiesa che accoglieva chi giungeva da meridione, anche per ciò doveva effondere grande spiritualità e significato di “unione con la Chiesa Romana” ed il Sommo Pontefice. Per il piano urbanistico di realizzazione delle chiese milanesi fu quella che Ambrogio volle a “forma di Croce”, tale scelta comporterà una grande adesione da parte di chiese che seguiranno a questa nel seguire l’impianto della chiesa ambrosiana. Orbene la Basilica Apostolorum risulterebbe –mi sia concessa la licenza- e non a torto il manifesto delle chiese cruciformi occidentali. Difatti se le chiese orientali –o bizantine- manterranno la forma  classica di “croce greca” con tutti e quattro i bracci eguali -inseribile perciò la pianta medesima in un cerchio-, quelle cosidette a “croce latina” attingeranno al modello tracciato in questa chiesa milanese, manifesto incontrovertibile della volontà di ricalcare anche nella dimensionatura dello spazio liturgico la Santa Croce di Cristo e renderla a livello spaziale ed architettonico all’interno del tempio cristiano “all’occidentale”.

Il corpo di san Nazaro martire fu sepolto nell’anno 395-396 dallo stesso Ambrogio, ciò determinò il titolo odierno. L’impianto originale della chiesa andò perduto -a seguito di un incendio che nel 1075 sconvolse la chiesa- ed è stata perciò ricostruita. Purtroppo l’impianto che noi oggi possiamo ammirare è una ricostruzione in stile romanico. Orbene si può affermare che la Basilica Apostolorum presenti una struttura fondamentalmente tardo-romana, sia per quanto concerne la planimetria che l'alzato. La pianta ha uno sviluppo di tipo “cruciforme” che -nel quadro della simbologia ambrosiana- riproduce la vittoria di Cristo. Oggi non si conosce esattamente la lunghezza originaria, tuttavia è probabile che il muro attuale di facciata insista sul muro antico.

 

Analisi dell’impianto cruciforme

 Gli studi di questa chiesa milanese si sono da sempre susseguiti nel tempo, l’attenzione al recupero conservativo e a mettere in luce il disegno originale ambrosiano si deve alla fase dei restauri effettuati lo scorso secolo. L’impianto generale ambrosiano è ricostruibile grazie ad una serie di ricerche archeologiche compiute per lo più nel corso dei restauri -effettuati tra il 1947 e il 1974- e di cui resta purtroppo inadeguata documentazione.

La chiesa offre un impianto a “croce libera” che –come detto- era allora nuovo per l'Occidente. Taluni indicano un precedente storico –da cui questa milanese avrebbe attinto e a cui dovrebbe il suo modello, anche ideologico- nell'Apostoleia di Costantinopoli -progettata dallo stesso Costantino come suo mausoleo-. Questa tipologia di edifici sacri troverebbe riscontro anche in Oriente nel quasi coevo Martyrum di San Babila di Antiochia e nel Martyrum di San Giovanni a Efeso. Eppure il concetto di “chiesa cruciforme” –alla latina, d’ora innanzi si dirà dopo l’edificio ambrosiano- si baserà sulla dicotomia “greca” e “latina”, entrambe con schemi costruttivi differenti e rivendicanti origini e modi di intendere la fede, la spiritualità ed il dimensionamento dello spazio dedicato alla Sacra Liturgia differente, quasi opposto.

Le dimensioni della struttura di San Nazaro in Brolo in Milano sono generose, una croce latina di 56 metri di lunghezza per 45,30 metri nel transetto, una larghezza di 14,20 metri ed un’altezza di 13,15 metri.

La chiesa in origine era dotata di presbiterio a terminazione piana, difatti le uniche esedre sono quelle presenti nei bracci, mentre la zona dell’altare semicircolare è invenzione postuma secondo taluni storici, non ambrosiana. La linearità e l’utilizzo di uno schema serratamente a rette è tipico dell’austerità dell’impianto voluto da Sant’Ambrogio che vuole significare questo riferimento alla Croce di Cristo.

La chiesa –secondo altri storici- si concludeva in origine con un muro piano e per accogliere il corpo di san Nazaro, fu forse trasformato dallo stesso Ambrogio. Il vescovo milanese avrebbe fatto rimpiazzare il precedente muro piano da un'abside semicircolare, sulla quale fu poi riedificata l'attuale abside romanica.

Al di là delle due ipotesi cronologiche sulla determinazione di questo spazio semicircolare resta comunque l’utilizzo interno del medesimo, di impianto centrale -che probabilmente non era continuo- ma diaframmato, legittimando così meglio la “logica cruciforme” della progettazione.

La croce è resa possibile dall’intersezione dell’elemento transetto, orizzontale che incontra la navata verticale, e che determina due eguali bracci, costituiti da due ambienti rettangolari animati da esedre ad emiciclo. Queste aperture -insolite all’austerità del fabbricato- fanno supporre si trattasse di nicchie per una destinazione funeraria, esse si aprono sulla navata mediante un “triforium”. Difatti originariamente si aprivano lateralmente due grandi aule rettangolari, alle cui basi erano poste, simmetricamente, due absidi o emicicli contrapposti. Le aule erano diaframmate nei confronti del corpo centrale da un triplice arco su colonne.

Le pareti sono interamente intonacate e conservano alcune finestre della muratura originaria paleocristiana. Restano tracce dei basamenti delle colonne al centro della chiesa, dei diaframmi delle aule laterali mentre sopra gira ancora il grande arcone del IV secolo.

La pavimentazione originaria -in “opus sectile- è ancora parzialmente conservata nell'aula di destra. Inoltre si conserva la copertura di una tomba con cinque distici in greco. Detta tomba reca l'inizio -per tre righe- della traduzione in latino che si riferirebbe ad un medico egiziano, tale Dionigi, forse lo stesso personaggio citato in una lettera di sant'Agostino nel 428.

Da una scaletta si può scendere nei sotterranei dove si può osservare la fondazione dell'abside orientale. Nel vano interno è conservato il piccolo sarcofago di san Matroniano , di età tardo-romana con acroteri angolari.

La copertura è costituita da un tetto a doppio spiovente, di questi due ambienti uno era ad un livello inferiore a quello della navata e come questo a capriate lignee e con soffittatura piana.

Al centro, nel punto di incontro degli assi della croce, era l'altare con le reliquie degli apostoli collocati entro la nota capsella (contenitore per reliquie) argentea. Orbene il posizionamento dell’altare al centro dell'intersezione fra l’asse longitudinale e quello trasversale, nonché la capsella argentea, che oggi è custodita al Museo del Duomo che fu impiegata da Ambrogio –secondo la tradizione- per il trasporto delle reliquie degli Apostoli.  Detta disposizione rafforza l'ipotesi che vi fossero dei diaframmi anche sull'asse longitudinale in modo da dare -a tutta la planimetria- un'impostazione aggregante e centripeta, costituita da una serie di vani esterni coordinati su di un vano centrale -l’asse della chiesa, il luogo ove si celebra la Liturgia alla presenza dei Santi- custodente reliquie e altare.

Poiché al momento del rinvenimento della teca, effettuato dal cardinale Carlo Borromeo nel 1579, entro questa era conservata anche la capsella di Manlia Dedalia, si ritiene che questo secondo contenitore sia stato utilizzato per una nuova deposizione di reliquie apostoliche. Il titolo di basilica Apostolorum è già in Paolino, mentre solo più tardi si afferma quello di San Nazaro, le cui reliquie Ambrogio rinvenne il 28 luglio del 395, presso il cimitero di Porta Romana. Si ritiene che proprio in seguito all'inventio (ritrovamento delle reliquie) il vescovo abbia modificato il presbiterio della basilica Apostolorum con l'aggiunta di un abside: non è mancato tuttavia chi l'ha ritenuta già prevista nell'impianto originario. E' certo in ogni caso che dalla fine del IV sec. La basilica dispone di due poli devozionali; l'altare con le reliquie degli Apostoli e, "in capite templi", il sepolcro di Nazaro: quest'ultimo messo in luce dagli scavi del Villa è risultato internamente rivestito di lastre marmoree.

 

L'epigrafe ambrosiana

 La Basilica Apostolorum è famosa anche per alcune importanti epigrafi, in particolare per quella commemorativa dettata dallo stesso Vescovo Ambrogio -di cui oggi si possono ammirare solo due frammenti- il cui testo sottolinea l'importanza della forma a croce come immagine simbolica della vittoria di Cristo. L’epigrafe sottolinea esplicitamente il luogo di sepoltura del martire Nazaro, contrassegnato da una immagine della croce, forse una rappresentazione musiva o un manufatto in marmo o in oreficeria. Ve ne proponiamo il testo originale con traduzione a fronte. In maiuscolo sono le lettere leggibili dai frammenti originali.

Condidit AmbrOSIUS templu(m) dominoque sacrauit

nomine aposTOLico munere reliquiis.

forma crucis TEMPLV(m) est templu(m) uictoria Christi,

sacra triumphalis signat imago locum.

in capite est templi uitae Nazarius almae

et sublime SOLVm martyris exuuiis.

crux ubi sacRATV(m) Caput extulit orbe reflexo,

hoc caput eST TEmplo Nazarioque domus,

qui fouet aeTERNA(m) uictor pietate quietem:

crux cui palMA fuit crux etiam sinus est

[Il maiuscolo indica le parole presenti nella originale epigrafe]

 

La traduzione dell’epigrafe:

«Ambrogio innalzò questo luogo sacro e lo consacrò al Signore col titolo degli Apostoli, con la donazione delle reliquie. Il tempio ha la forma di croce, il tempio è la vittoria di Cristo: la sacra immagine del trionfo segna il luogo. In capo al tempio è Nazario, dalla benefica vita: per le reliquie del martire il suolo s'innalza. Dove la croce innalza il suo sacro capo, presso la curva dell'abside, là è ubicato il capo del tempio e la sede di Nazario: egli, vincitore, assicura con la sua pietà una quiete eterna: a lui, al quale la croce fu palma, la croce è nondimeno riposo».

Una seconda epigrafe -ora purtroppo dispersa- celebrava l'abbellimento voluto da Serena che fece impiegare marmi libici per impreziosire il Sepolcro di San Nazaro e per festeggiare il ritorno di Stilicone dalla guerra contro Alarico.

 

Le pitture parietali e decorazioni

 Della basilica paleocristiana non resta quasi niente dell'originario arredo architettonico ad esclusione della nicchia del braccio meridionale -in cui il lacerto pavimentale è in opus sectile (un mosaico fatto con piccole lastre regolari di marmo in modo da formare disegni geometrici)- ove fu sepolto il medico egiziano Dioscoro.

Degli arredamenti originali non abbiamo granché, mentre molteplici tombe segnano le tracce delle inumazioni dei primi vescovi seppelliti all’interno del tempio. Nella chiesa troviamo molteplici testimonianze tombali, per lo più risalenti alla prima metà del V sec. d.C..

Conosciamo anche i nomi di alcune delle persone inumate –questo grazie ai cataloghi episcopali- ed è possibile ricostruire le tombe e il loro seppellimento: Venerio, Marolo, Glycerius (unico di cui disponiamo di testimonianze epigrafiche certe) e Lazzaro.

Orbene i nominati vescovi del V sec. furono sepolti all’interno dei quattro sarcofagi posizionati attorno all'altare –già ospitante le reliquie apostoliche-. Questi sarcofagi -e le relative spoglie mortali- furono per la prima volta messe in luce durante la verifica del Cardinal Borromeo.

Inoltre sono presenti nella chiesa diverse iscrizioni funerarie incise e posizionate su numerose lapidi posizionate sul pavimento, in correlazione al luogo della sepoltura dei cadaveri. Nel locale rettangolare -un annesso di servizio- addossato a sud-est dell'edificio, nell'area che oggi è poi occupata dalla cappella di San Lino.

Da sottolineare un singolare dispositivo che quasi certamente serviva a incanalare -in un apposito serbatoio- l'acqua piovana che colava dal tetto dell'edificio. L’apparecchio innalzato al di sopra di una platea ottenuta con anfore vuote rovesciate (forse relative però ad un più antico drenaggio) si presentano appoggiate al muro esterno del tempio.

 

Le inventiones (ritrovamenti) delle reliquie dei martiri

 Sant’Ambrogio dedicò molto tempo della sua attività di pastore al ritrovamento e alla traslazione delle spoglie mortali dei Santi Martiri. Diremmo che la sua operazione fu una scelta desiderosa di affrontare una prima catalogazione –da un lato delle Reliquie dei Santi- e di costruire la storia della spiritualità –dall’altra- scegliendo un typos –i Martiri- che potessero insegnare, durante il periodo dell’eresia ariana, la vera ortodossia cattolica e la preziosità del “confessare” –anche a costo della vita- la propria fede. Una scelta coraggiosa che consentì anche di inserire nelle pagine della spiritualità altissimi inni che restano indelebili nella storia della Patristica, ma soprattutto degli scritti che possono aiutare a comprendere il significato stesso della fede. Una fede mai scevra della sua tradizione, dei predecessori e di quanti vollero dedicare la vita con opere che testimoniassero la stessa cristianità.

In ordine temporale vogliamo segnalare dapprima il ritrovamento dei resti dei Santi Gervaso e Protaso nell’anno 386. Questo storico rinvenimento avvenne poco dopo il termine vittorioso della lotta contro la corte.

La partecipazione di Ambrogio al reperimento a Bologna nell’anno 393 dei Santi Martiri Vitale e Agricola. Questa scoperta accadde alla presenza di Eustazio, vescovo di quella città.

Un ritrovamento milanese si avrà nell’anno 395 quando furono rinvenute le spoglie dei Santi Martiri Nazaro e Celso.

Di alcuni di questi rinvenimenti abbiamo testimonianza diretta dello stesso Ambrogio che del primo episodio, informa in una missiva alla sorella Marcellina (Lettera 77) della grande scoperta.

Ciò che lascia maggiormente perplessi - per noi moderni- è come mai Ambrogio avesse avuto l'idea di far scavare proprio di fronte alla basilica di Felice e Nàbore degli scavi. E furono subito trovati due uomini "di straordinaria –elevatissima oserei sottolineare- statura". Ciò che impressiona maggiormente Sant’Ambrogio –che si evince dai suoi racconta- sono gli evidenti segni di morte crudele: difatti rinviene dei resti di martiri decollati, col capo staccato dal collo, uno spettacolo macabro che riporta ai poveri Martiri e alla loro terribile passione.

Sant’Ambrogio considerò questi due scheletri Gervaso e Protaso. Occorre precisare che non siamo in grado di poter con certezza affermare che questi due persone siano effettivamente esistite poiché poche testimonianze al riguardo ci confermano l’ipotesi della storicità di queste due figure. Altrettanto problematico è anche sapere come mai il Vescovo milanese poté procedere all'identificazione. L’ipotesi più accreditata al riguardo è che Ambrogio trovò accanto ai cadaveri dei cartigli che indicavano le identità di quei macabri resti mortali.

L’aspetto più positivo –nell’accezione più latina del termine- è certamente il desiderio di dare conforto ed unità alla sua chiesa così scossa dalle penose lotte appena conclusesi. Una considerazione da non sottovalutare, alla luce di questa crescente ed insorgente “corsa alle reliquie” da parte di Sant’Ambrogio –e di conseguenza della chiesa ambrosiana- è anche la sua necessità di dar corpo ad una vera ricerca di spiritualità e monito da seguire dinanzi le assurde mistificazioni della fede.

Felice e Nàbore, santi per la Chiesa Cattolica, non erano neppure milanesi. Difatti a Milano -fino a quando furono martirizzati non avevano veri e propri martiri- nonostante che i vecchi fossero in grado ancora di ricordare le esecuzioni compiute all'inizio del IV secolo da Diocleziano. Da parte degli avversari ariani e dei detrattori si alzò unanime un coro di accuse che accusò il vescovo di falsità e di opportunismo per quel rinvenimento. Dopo gli attacchi così violenti verso Ambrogio vi fu un’identificazione molto forte ed una adesione sentita da parte del popolo milanese.   

Ancora una volta non possiamo affermare che la grandezza dell'episcopato di Ambrogio è dipesa da queste sue azioni. Egli seppe invece orientare gli effetti dei rinvenimenti dei santi martiri a favore della compattezza e dell’unione della sua comunità di fedeli, sino ad accaparrarsi una schiacciante vittoria –radicale- sulla parte ariana della città milanese.

Ambrogio –partecipando al reperimento di altri martiri, anche estranei alla sua città- infonde una grandissima spiritualità nella sua comunità milanese. Il vescovo punta sul valore del martirio e difatti la concezione ambrosiana è satura di questo sentimento.

L’aspetto determinante della spiritualità di Ambrogio riguarda proprio il culto dei Martiri, difatti per il vescovo milanese i più diretti continuatori dell'opera del Cristo sono questi e cioè i primi fra i fedeli quali custodi perfetti della fede.

La consacrazione dei santi martiri è una scelta di campo influente, il desiderio di Sant’Ambrogio è richiamare direttamente l'amore sommo che contrassegnò la ricerca –del vescovo milanese- della Passione e della vita di Gesù. I martiri sono il mirabile esempio in terra della condotta di un vero cristiano, così come le vergini che rivolgono se stesse totalmente a Cristo e come egli stesso donò se stesso con l’interezza a Dio.

Prof. ALESSIO VARISCO

Storico dell’arte e saggista

Direttore "Antropologia Arte Sacra"

 


 
 
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