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La chiesa di San Giuseppe in Monza

Un’idea di Peppino Arosio progettata da Justus Dahinden

 

Il complesso parrocchiale di San Giuseppe Confessore in Monza, opera dell’architetto svizzero Justus Dahinden di Zurigo si deve alla volontà di un caparbio parroco –don Giuseppe Arosio-, appassionato di architettura, oltre alla lungimirante guida di un grande teologo -don Luigi Serenthà-, autore dello statuto epistemologico delle scienze teologiche. Può esser definito un «“luogo” nell’informe», così come lo descriveva Pierluigi De Stefano sulla rivista -diretta da Bruno Zevi- “L’architettura”[1] in un articolo che presentava la chiesa monzese.

L’edificio religioso è stato costruito fra il 1973 ed il 1975, dal parroco fondatore e committente don Giuseppe Arosio, la direzione lavori è affidata ad Enrica Derossi, l’impresa costruttrice dell’ing. E L. Casiraghi, le strutture dello Studio Baroni - Caprotti – Malusardi. Le opere e gli arredi son stati eseguiti da Egon Weinert, mentre l’organo –di tipo meccanico- è di Vincenzo Mascioni.

«L’essenza fondamentale della chiesa è fissa; il che conferisce un carattere storico. D’altra parte essa è dinamica, bisognosa di adattamenti e le sue forme esteriori variano in funzione del luogo e delle situazioni»[2].

La chiesa è stata concepita come

«un luogo d’incontro, in modo che accanto all’azione liturgica e alla preghiera personale si potesse costruire una vita comunitaria»[3].

Si è voluto creare uno spazio compiuto internamente che, per contro, tramite sapienti ed elaborate soluzioni stilistiche interloquisce con lo spazio circostante. Un intorno in divenire, un quartiere popoloso, una nuova realtà urbana che abbisognava di una moderno e significativo

«desiderare che le architetture e le iconografie sacre nascano con l’impronta della bellezza equivale a rispettare — come scrivo nella pastorale Quale bellezza salverà il mondo? — la loro primaria funzione di testimoniare l’irruzione della grazia divina nella nostra quotidianità. Esse dovrebbero essere una freccia lanciata all’interiorità attraverso appunto il linguaggio della bellezza, dovrebbero essere un sostegno alla contemplazione»[4].

La chiesa parrocchiale di San Giuseppe in Monza è stata costruita non già per un mero servizio sociale e comunitario, il tempio cristiano monzese è un impegno costruttivo unico, che si diversifica da analoghe imprese. Il significato qui presentato di architettura sacra è reso dal fatto che in essa viene raffigurato -e presentato- anche lo spirituale, il soprarazionale, l’invisibile.

«Lo spazio- chiesa non deve solo offrire al credente un luogo tranquillo e protetto, ma deve anche accogliere una valenza psichica dell’architettura sacra che abbraccia l’uomo nella sua totalità»[5].

In questa chiesa sono determinanti sia gli spazi esterni che quelli interni che costituiscono uno spazio organico. Si assiste ad un’architettura in cui si può ascolatare una perfetta sintonia fra spazi esterni che sono preludio e preparazione di quelli interni. Guardando alla planimetria generale si coglie che lo spazio architettonico ha un’impostazione spiraliforme. Sempre osservando lo sviluppo della chiesa ci si rende conto che propone contemporaneamente una direzione centripeta e centrifuga.

«Due forze opposte e dicotomiche ci dicono delle due valenze fondamentali della comunità- chiesa: raduno e tensione verso il mondo. La sequenza degli spazi di accesso alla chiesa vuol avere una forza di persuasione e un carattere di invito. Questi spazi esterni sono complementari a quelli interni e legano il centro parrocchiale all’area urbana, pur differenziandosi da essa»[6].

La chiesa è uno spazio sottolineato ed introdotto dai suoi punti celebrativi e dalla luce. L’architettura qui si fa armonia quasi permeata e bagnata dalla luce. Il disegno dell’architetto agisce con un’intensità vibrante sull’individuo -e per contro- sulla assemblea radunata tutta attorno all’altare. Quest’ultimo, immagine scarna e scabra della mensa, è dunque spiritualizzante ed estremamente rasserenante. In particolare il dato luministico, i colori, i materiali cooperano in un’alchemica composizione a rendere lo spazio interno carico di simboli che schiudono al mistero.

L’altare diviene l’axis mundi di questa realtà oggettuale in cui può sperdersi verso il centro e divenire il fulcro della e nella comunità radunata. Non è un casa che sia di forma quadrata –difatti il quadrato è immagine per antonomasia della finitudine, degli elementi naturali, dei venti ed infine per noi cristiani degli evangelisti- e dall’aspetto robusto, estremamente imponente alla vista dell’osservatore. Questo altare rimanda –tramite una suggestiva sinfonia di significati- all’importanza e alla asceticità del luogo del sacrificio.

Retrostante all’altare sta il tabernacolo –altro luogo nodale della liturgia, di grande importanza durante le celebrazioni e nella preghiera privata- dipinto dalla luce che scorre verso il basso direttamente dal cielo. Questo impiego zenitale della luce a bagnare le cose rende “memoria” del pane che è disceso dal cielo –a livello veterotestamentario-, nonché della gratiuità dell’essersi incarnato per noi ed esser divenuto pane eucaristico.

Sulla zona sopraelevata da tre gradini sorge –oltre alla altare e al tabernacolo- l’ambone ed il battistero –tutti e due in stile- costituiti di legno e ferro, il medesimo materiale della mensa.

Ciò che colpisce chi visita questa chiesa[7] è la molteplicità di piani -forse molti ad un visitatore distratto- che stanno a significare i vari piani dello spirito che vaga in ascesa verso Dio. Questi vari piani nello spazio architettonico costituiscono la diversità delle funzioni è sottolineata dalla forma e dai livelli dei vari luoghi celebrativi.

Si analizzi la zona sopraelevata su cui è custodita la mensa, il tabernacolo, l’ambone e il fonte battesimale. Questi “luoghi” non sono solo un normale presbiterio, bensì uno spazio chiesa che si sarebbe potuto separare, lungo il corso della settimana, per favorire le celebrazioni feriali e l’adorazione eucaristica personale.

In questa chiesa l’elemento più dominante -al di là dell’altrenanza dei livelli- il fattore “luce”. Quest’ultima -che tanta importanza ha assunto nella Divina Liturgia e nelle Sacre Scritture- nella chiesa diviene l’elemento fondamentale, simbolo della gioia pasquale. Un’ulteriore evidente particolarità di questo tempio cristiano è certamente la provenienza della luce. Le sorgenti luminose non si riescono a vedere e la luce

«scende lungo le pareti conferendo allo spazio solennità e accoglienza».

Da sottolineare la disposizione del coro che è ubicato all’interno dell’assemblea orante. Ulteriore elemento di spicco della comunità parrocchiale è l’organo -parte integrante dell’architettura- in cui l’esecuzione dei canti è pure sostenuta dallo strumento a canne.

La disposizione dell’assemblea liturgica –si ricordi che a seguito del Concilio Ecumenico Vaticano II l’assemblea diviene “con celebrante” unitamente e congiuntamente al Ministro- è emotivamente coinvolta dalla disposizione, tutt’intorno alla Mensa Euristica. La seduta dei fedeli è la sedia, scelta al posto delle tradizionali panche, proprio a sottolineare il valore dell’individuo ed offrire la possibilità di trasformazioni a seconda del le celebrazioni.

Lo spazio interno dell’aula è atipico, asimmetrico. Difatti la pianta della chiesa è inconsueta e è partorita dalle esigenze della Liturgia più che da forme geometriche predeterminate o consuete. Una chiesa “nuova”, nata da un concetto spaziale-liturgico che evita l’abitudinarietà e l’insipienza. Una creatività vibrante di spazi, resi attivi e pulsionanti dalla loro creatività.

San Giuseppe di Monza, pensata da Arosio e Dahinden,  favorisce la spiritualità e la preghiera, l’interiorità e la riflessione.

Prof. ALESSIO VARISCO

Storico dell’arte e saggista

Direttore "Antropologia Arte Sacra"


 


[1] P. De Stefano, Complesso parrocchiale di San Giuseppe Confessore. In “L’Architettura, Cronache e storia”. Gruppo Fabbri Editori. Roma, numero 333, VII, luglio 1983. 514-522.

[2] J. Dahinden, San Giuseppe a Monza. Monza, 1974.

[3]  Ibidem.

[4] C. M. Martini, Memorie per un futuro, in Chiese 1985-2000. Milano, 2000. Electa.

[5] E. Derossi, J. Dahinden, Chiesa S. Giuseppe Confessore in Monza. in G. Arosio, Chiese 1985-2000. Milano, Electa.

[6] Ibidem.

[7] Alla Parrocchia di San Giuseppe di Monza provengono numerosi gruppi di pellegrini, in quanto pregevole opera di un architetto elvetico conosciuto per le sue sperimentazioni stilistiche qui sintetizzata ed espresse mirabilmente in un’opera plastica di notevole suggestione ed impatto nel confronto urbanistico con il quartiere “storico” nonché l’ulteriore sviluppo urbano sino ad oggi ampliatosi.

 

 

 


 
 
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