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Un unicum del Piranesi

La chiesa di Santa Maria del Priorato sull’Aventino in Roma

  

 

 

«Quando mi accorsi che a Roma la maggior parte dei monumenti antichi giacevano abbandonati nei campi o nei giardini, oppure servivano da cava per nuove costruzioni, decisi di preservarne il ricordo con le mie incisioni. Ho dunque cercato di mettervi la più grande esattezza possibile». (G. B. Piranesi)

 

Bistrattato, troppo spesso ritenuto ridondante, “ampolloso”. Queste solo alcune delle impressioni che –a torto- possono riportare coloro che si accingono ad osservare il periodo –o meglio la critica storiografica- che nell’arte è definito “barocco”. Ritengo che, erroneamente, per una certa ritrosia e per troppi luoghi comuni esso possa essere apostrofato come uno stile sovrabbondante di “fronzoli” ed orpelli. Ciò potrebbe apparire seguendo la logica di artisti che –come quelli di oggi- scardinano schemi antichi. Ma ai tempi in cui sorse questo stile dovette –senz’ombra di dubbio- sconvolgere la fissità a volte ieratica e rimandante al romanico e ad una classicità fissa del precedente periodo rinascimentale.

Il barocco è sinuosità, dominato dal superamento dell’horror vacui, che si esprime nel mistilineo plateresco di moltissime facciate di edifici civili e religiosi, dalla flessuosità dell’ellisse che rimanda al doppio fuoco ed alle moderne –coeve e contestate- teorie astronomiche che in quegli anni infervorarono la vita civile con processi mossi dall’ortodossia ecclesiale ai danni della scienza in quegli anni impegnata a dare uno statuto epistemologico e mossa da un’incredibile ricerca.

Insomma un periodo pregno di significati che andrebbero riletti e selezionati con cura. Non già mera ridondanza ma creatività pura, pulsionale, che ricalca forme che partono dall’analisi delle coniche e rimandano a gesti nuovi. Purtroppo anche la critica d’arte e gli storiografi non hanno contribuito ad avvicinarci a questo stupendo periodo dell’arte.

Ma il gusto soggettivo di qualche studioso di storia dell’arte -o critico- non è l’obiettività della storia dell’arte. Vi sono dei criteri, obiettivi e non soggettivi, che sottendono all’analisi di grandi pagine dell’architettura, della scultura, sia essa plastica monumentale o decorativa e quindi, a torto, non può considerarsi minore. Non posso dimenticare facciate plateresche, ovvero con ricchi addobbi floreali, e grandi creazioni come la monumentale piazza San Pietro, oppure altre invenzioni squisitamente barocche e le innumerevoli chiese, rifatte o nuove, con quel peculiare stile. Senza dimenticare lo stile austriaco e i tanti architetti italiani “prestati” alle corti di mezza Europa.

Quando penso al barocco –e sovente devo riportarlo a miei alunni cercando di tratteggiare loro il bakground che ha generato questo periodo- penso soprattutto –e riporto loro- due modelli: la Real Chiesa di San Lorenzo a Torino, che ha ospitato la Sacra Sindone prima del trasferimento nel Duomo di Torino, e la chiesa priorale di Santa Maria del Priorato a Roma. L’una del teatino Guarino Guarini e l’altra dell’architetto vedutista Piranesi.

«Al valico tra il sensismo della veduta e l’idealismo neoclassico, Giovan Battista Piranesi (1720-1778) preferisce l’isolamento alla scelta. È veneto, ma dal 1740 vive quasi sempre a Roma. Ha formazione di vedutista, canalettiana; ma preferisce l’incisione alla pittura. È architetto; ma costruisce una sola chiesa, piccola e stupenda, Santa Maria del Priorato»[1].

La famosissima piazza dei Cavalieri di Malta  è -una splendida disposizione urbanistica di Giovan Battista Piranesi[2]- certo conosciuta da tutti -romani e non- così come la veduta della cupola di San Pietro, incorniciata da viali di bosso, che appare a chi sbirci dal buco della serratura del portale d’accesso al complesso di proprietà del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Sul colle dell’Aventino[3] per volere di Alberico II -e della sua famiglia[4]-, fu costruito un palazzo e successivamente venne fondata un’abbazia nel X secolo, affidata alla cura spirituale di monaci dell’Ordine di San Benedetto.

La chiesa di Santa Maria all’Aventino –oggi sede priorale del Sovrano Militare Ordine di Malta- è in realtà un vero e proprio complesso[5] ed è certo il maggior capolavoro del Settecento romano[6].

Nell’antichità la zona dell’Aventino era la sede dell’Armilustrium, ossia laddove dopo le campagne militari erano messe e purificate –nel periodo autunnale- le armi dell’esercito romano.

L’Aventino era in origine un quartiere mercantile meta di molti stranieri, nonostante fosse stato inserito all’interno della cinta muraria del VI secolo a. C., fino all’epoca imperiale permase esterno al Pomerio[7].

Il colle con una legge del V secolo a. C. venne enunciato di proprietà pubblica. A seguito dell’emanazione di questa norma venne assegnato ai plebei e divenne una sorta di acropoli riservata alle classi meno abbienti. Durante il II secolo a. C. si rifugiò sull’Aventino Gaio Gracco -insieme ai suoi compagni- nel disperato strenuo tentativo di difesa della Città.

In epoca imperiale sovvertì il suo trend di abitanti e divenne il quartiere dell’aristocrazia. Qui Adriano e Traiano scelsero di abitare prima di divenire imperatori.

I Goti, distruttori di Alarico, durante l’assedio si accanirono contro i beni di lusso della città e la ricchezza delle case attirò –il quartiere si trasformò in un catalizzatore di violenza distruttrice- una moltitudine di invasori.

Presso l’Aventino Alberico aveva eretto un suo palazzo fortificato e nell’anno 939 la zona fu ceduta ad Oddone di Cluny, il quale vi istituì un monastero benedettino di grande importanza.

Il complesso monastico passò verso la metà del XII secolo all’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e -solo dopo la caduta di questi nel 1312- divenne proprietà dell’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, che tutt’oggi ne detengono il possesso[8].

La chiesa “priorale” di Santa Maria presso l’Aventino a Roma è stata ed è quindi la sede del Sovrano Militare Ordine di Malta[9], si presenta come un’opera straordinariamente originale. Ciò doveva essere dato il prestigio del complesso e venne evocato Giovan Battista Piranesi, architetto, maggiormente conosciuto per le sue vedute, veneto d’origine e romano d’adozione.

«Molti pittori di genio sono stati anche architetti; pochissimi hanno pensato unicamente in termini di architettura nella loro produzione dipinta, disegnata o incisa».[10].

In realtà la poetica del Piranesi è dominata –in maniera indiscussa- dall’architettura, si pensi che nell’universo visionario e cupo –ad uno sguardo frettoloso parrebbe un sognatore[11]- delle spropositate eppur angoscianti e gravi Carceri in cui lo Spazio pare eccellere sul Tempo; sia nella visione reale, accuratamente osservata e trascritta delle Antichità Romane. L’evocazione del Piranesi insiste sulla forza del Tempo, accentuando particolari e dettagli, quali i muri titanici in disfacimento, che creano maggiore tensione ed enorme pathos dilatando all’infinito il tempo. Pur firmando tutte le sue opere teoriche come “architectus venetianus”, convertì in vera pietra e vero marmo una sola opera, volgendo la sua appassionata vocazione d’architetto nel mirabile virtuosismo d’incisore che tutto il mondo conosce.

Le innumerevoli tavole incise delle Antichità Romane, in cui vengono riprodotti i monumenti millenari in forma di grandiose e magnifiche rovine, furono il frutto della continua, incessante, diretta osservazione e ricerca dei reperti archeologici, che Piranesi mise in atto con passione antiquaria, come testimonia questa sua frase:

«Quando mi accorsi che a Roma la maggior parte dei monumenti antichi giacevano abbandonati nei campi o nei giardini, oppure servivano da cava per nuove costruzioni, decisi di preservarne il ricordo con le mie incisioni. Ho dunque cercato di mettervi la più grande esattezza possibile».

Sollecitudine da archeologo ante litteram ed artista insieme, concretizzata ed espressa nel minuscolo tempio al Priorato. L’opera di ristrutturazione e di nuova decorazione della piccola chiesa dei Cavalieri di Malta fu commissionata a Piranesi nel 1764 dal cardinale Rezzonico, Gran Priore dell’Ordine e nipote del papa Clemente XIII, quando l’artista era già pienamente padrone del suo stile: un insolito amalgama in bilico tra l’evocazione quasi visionaria dell’antico e la mediazione del decoro di fantasia barocca.

Santa Maria del Priorato[12] sorge all’interno del parco della Villa Magistrale ubicata sul colle Aventino ed è un unicum in quanto è l’unica prova di costruttore del Piranesi. Seppure l’unica è indubbiamente di eccelsa qualità: compendio, sintesi di tutta la sua originale, personale visione dell’arte architettonica, ai limiti a volte del sogno metafisico[13].

In realtà le sue opere sono ammorbate di un lirismo insistente, una sorta di urlo afono quelle spoglie vedute così cariche di evocazioni lontane, di tempi e fasti perduti, di grande attesa del domani in una traballante dilatazione fra quelle storiche pietre della natura che pare riappropriarsene insistentemente e con maggiore impeto.

Le opere maggiori del Piranesi si presentano dal gusto scenograficamente barocco, la chiesa di Santa Maria del Priorato affidata dal Gran Priore dei Cavalieri di Malta al noto incisore ed architetto di rimettere a nuovo la chiesa dell’Ordine sul maggiore colle romano, simbolo della spiritualità cittadina[14].

Nell’edificio dell’Aventino gli ordini architettonici classici sono stati rielaborati in chiave eclettica[15], particolarmente nella facciata che pare un’enciclopedia della decorazione –o meglio dell’ornamentazione-, immaginaria, a tratti irreale, ma rigorosa al tempo stesso.

L’interno è dominato da una doppia fonte luminosa di cui una prima proveniente dalle finestre dell’abside, mentre la seconda -non visibile dalle navate- giungente da tre oculi posizionati in quella porzione di muro che para il catino absidale e che sovrasta in altezza le navate e il transetto.

La facciata pare una sorta di merletto, dall’interno si ha la sensazione di un vero e proprio schermo traforato, risultante da colonne e situato fra il presbiterio e il coro. La soluzione estetica è simile ad una filigrana molto cesellata in superficie, leggera, ma costituita da molteplici fili d’oro che rendono il tutto estremamente aereo. Idealmente il Piranesi prosegue e si ricollega, citandole, alle invenzioni cinquecentesche palladiane per le basiliche veneziane del Redentore e di San Giorgio Maggiore[16] e alla seicentesca Santa Maria della Salute del Longhena, a Venezia. Un’ispirazione lagunare, quindi, un omaggio al papa regnante, al nipote di lui, cardinale Giambattista Rezzonico[17] e alla città che aveva visto l’artista muovere i primi passi nell’arte dell’incisione e dell’architettura. Ma si tratta anche di una soluzione che si armonizza con l’intervento borrominiano e che, anzi, lo interpreta e lo conclude con quella fantasia decorativa tipica dell’architetto ticinese. D’altra parte proprio nel parere su l’architettura del 1765, scritto quindi mentre era impegnato nello studio per la sistemazione dell’abside di San Giovanni in Laterano, il Piranesi lodava l’inesauribile fantasia creatrice del Borromini (assieme a quella del Bernini) contro le opinioni di coloro che ritenevano che gli edifici dovessero essere costruiti secondo le regole dettate da Vitruvio.

«L’antico è quello che ve diamo nei ruderi, nei frammenti corrosi, nei capitelli, nei fregi superstiti. Ci commuovono proprio perché sono i segni di una storia che ha compiuto il suo ciclo e si è chiusa: la natura, avvolgendoli con i suoi rampicanti o disgregandoli con il sole e con l’acqua, li ha ripresi e assimilati. E queste cose non possiamo che vederle così come sono, rovinate ma debolmente rianimate dalla luce. Non dunque sulla teoria, ma sul documento visivo e con la fantasia può ridarsi un senso all’antico. Polemizza con i teorici che ipotizzano un’antichità, una Grecia “ideale”, in cui tutto sarebbe semplice e razionale; non per spirito di nazione difende Roma contro la Grecia, ma per un sentimento profondo della storia che attinge, come ha dimostrato il Calvesi, dal Vico. Come grandioso frammento di una vita che l’umanità ha vissuto, la storia può essere rivissuta soltanto con l’immaginazione, come nelle Carceri (1745 e 1760-1761), o in sogno, come nei Capricci, o lasciando parlare le rovine, come nella Magnificenza e architettura de’ Roma- (1761), o confrontandola con il presente, come nelle vedute di Roma moderna»[18].

Lo spazio esterno alla Villa -sulla cui facciata campeggiano gli elementi araldici dei Rezzonico: l’aquila a due teste e il castello, oltre alle croci di Malta- è ritagliato da un prospetto angolare articolato da Piranesi come un limite, una protezione e insieme un segno di individuazione di un luogo specificamente connotato[19].

Una volta entrati nel bellissimo giardino dell’Ordine si può ammirare una splendida vista su Roma –una sorta di “terrazzo” sull’Urbe distesa là sotto-, soprattutto su Trastevere e San Pietro, si arriva alla chiesa, sul cui impianto cinquecentesco il Piranesi ha intessuto una veste architettonico-decorativa stupefacente. Già dalla facciata è possibile leggere un’inventiva sconvolgente, dove gli stucchi costituiscono una rete di rimandi simbolici -e persino misterici- di assai ardua lettura, nello scompaginamento e riutilizzo apparentemente arbitrario del lessico dell’ornamentazione architettonica.

La facciata si mostra come fosse una ricostruzione –bizzarramente malinconica– composta di lacerti lapidei secolari recuperati a nuova vita. Non un’immagine di mera rievocazione retorica di passati splendori, ma una meditazione metafisica sulla durata delle cose e la loro lenta usura. Le minuscole proporzioni sono disegnate, a ben guardare “incise”, nella straordinaria veste formata di elaboratissimi stucchi raffiguranti simbolici e quasi misterici elementi, alcuni di difficile interpretazione.

Piranesi celebra il trionfo dell’antico come fonte di un immenso repertorio di segni che l’artista è in grado di decostruire e riassemblare nel nuovo grazie alla sua immaginazione. I ricchissimi capitelli, ad esempio, rivelano la presenza di due figure alate, sfingi affrontate separate da una torre: si tratta forse di un faro d’oriente? Echi o richiami alle attività in terre d’oltremare dei Cavalieri dell’Ordine?

L’interno risalta subito per il biancore quasi abbacinante degli intonaci e degli stucchi, realizzati secondo una formula, sembra, ritrovata dal Piranesi stesso. A navata unica con cappelle laterali, le soluzioni architettoniche e luminose si mostrano come l’estrema elaborazione del linguaggio borrominiano e culminano nell’intercapedine di luce dell’abside su cui si staglia in penombra la complicata costruzione geometrica dell’altar maggiore, che costituisce una tendenza, personalissima, verso i modi neoclassici.

Accanto all’altar maggiore è il trono riservato al Gran Maestro. Nella navata, sulla destra vi è il monumento sepolcrale del Piranesi, mentre a sinistra è un altarolo reliquiario del IX secolo[20], trovato sotto l’altar maggiore durante le ristrutturazioni e qui collocato.

L’oculo in forma di corona sovrastante il timpano dell’ingresso è circondato da una fitta merlettatura affiancata e contenuta da due serpenti dalle spire morbidamente arrotolate e distese. Le quattro lesene scanalate portano ciascuna in un riquadro la spada dei Cavalieri, mentre scudi, blasoni e trofei sono sovrapposti gli uni agli altri all’interno del timpano sommitale a creare un gigantesco emblema inserito nell’ornato dell’elaboratissima trabeazione percorsa da un fregio a greca intrecciata.

La composizione di pietra è un alto podio da cui si elevano ad intervalli simmetrici edicole con affollati decori fatti di maschere, ghirlande, cornucopie e strumenti musicali, fiancheggiate da obelischi e da una stele celebrativa delle passate glorie dei Cavalieri dell’Ordine di Malta. Nell’affastellarsi di scudi e armi del riquadro del basamento sottostante la stele si rammenta anche l’antico luogo dove l’esercito romano deponeva e purificava le armi dopo le campagne militari (Armilustrium).

Così come i serpenti che compaiono sovente richiamano il vetusto nome del sito: mons Serpentarius. Ancora una volta il fitto tessuto dei rilievi piranesiani narra e ricompone l’ideale continuità tra l’antico e il moderno.

E se in origine questa lunga teoria pietrificata doveva apparire biancheggiante nel bel mezzo della solitaria altura oggi questa fantasmagorica visione è accompagnata dalle sagome scure dei cipressi e delle palme retrostanti che ne esaltano il nitore come una quinta allestita per un metafisico teatro.

In un testo scritto in forma di dialogo fra Protòpiro, difensore dei principi vitruviani, e Didàscalo, portatore del pensiero del Piranesi, si legge:

«Protop. biasimò la qualità di codeste novità e gli architetti che han fatto e fanno a chi può più trovarne. Didasc. Vorrete dire i Bernini, i Borromini e quanti altri hanno operato senza pensare che gli ornamenti debbono nascere da ciò che costituisce l’architettura; ma in costoro chi vi crede tedi biasimare? Il più grande architetto che vi sia stato, voi biasimate, e che sia per esservi».

Il disegno della facciata appare come un fronte di tempio tetrastilo, un’interpretazione davvero originale, le paraste scanalate danno ospitalità alle lastre scolpite con spade rituali[21].

«E invece ritrae all’incisione i monumenti antichi, documenta con ammirevole esattezza i reperti degli scavi di Ercolano, teorizza e polemizza sull’architettura»[22].

Il frontone, elemento cardine della costruzione dei templi classici a cui nell’armonie delle forme si esprime questa chiesa –citando forme e stilemi classici antichi, rivisitandoli e saccheggiandoli con sapienza e grande estro-, è un insieme di simboli militari e religiosi.

L’originalità sta nel fatto che il Piranesi evoca forme antiche, citando simmetrie e proporzioni, inventando però nuovi simboli ornamentali. Il capitello è costituito da sfingi affrontate e separate da una torre[23].

«L’antico è ormai oggetto di una scienza l’archeologia; l’antichità, l’artista non può che ammirarla e rimpiangerla: o rievocarla con l’incisione (la pittura, il colore sono realtà troppo vive), nell’armonia malinconica, quasi funebre dei bianchi e dei neri. Santa Maria del Priorato sembra fatta con pezzi di antiche architetture bizzarramente ricomposti, arbitrariamente accostati, come cose del la cui antica ragione e funzione si sia perduta la memoria. E tutto, in quella chiesa, è inciso con un tratto forte e profondo, che si direbbe “inchiostrato” come nell’incisione. La spiegazione si trova nei suoi scritti sull’architettura. Inutilmente i moderni teorici cercano di riattivare la schietta funzionalità degli edifici antichi, la purezza strutturale del tempio greco: sono pure congetture e la funzione, la vita del passato sono finite per sempre»[24].

La facciata è dominata dalla soglia d’accesso all’aula liturgica, da un gran bel portale -affiancato da immagini simboliche[25]- quando non ricordano invece elementi egizi.

«Immaginazione e analisi, nostalgia, entusiasmo e documentazione si alternano nella sua opera: che costituisce un’alternativa drammatica all’olimpica storia-teoria dell’antichità del Winckelmann e anticipa il tempo, ormai prossimo, in cui il David vedrà nell’antico un esempio morale più che un modello estetico»[26].

Piranesi afferma con la chiesa di Santa Maria del Priorato di Roma una fedeltà alle sue concezioni, affermando la propria libertà inventiva in un insieme ordinato di elementi decorativi eterogenei non ancora regolati in un codice.

L’inventiva creativa e l’estro dell’architetto veneto divengono una nuova lingua espressiva, tutti i simboli e le svariate fantasmagoriche decorazioni sono proposte per sviare l’osservatore, disposte come in un organismo architettonico che ci inganniamo e che -a colpo d’occhio- ci invitano a riconoscere e capire il Mistero.

Un unicum.

Un testamento.

Una lode a Dio!

Prof. ALESSIO VARISCO

Storico dell’arte e saggista

Direttore "Antropologia Arte Sacra"


 


[1] G. C. Argan, Storia dell’Arte Italiana. 2008. Vol. III, p. 292.

[2] Il complesso dei Cavalieri dell’Ordine di Malta è il risultato del singolare intervento urbanistico, in stile neoclassico, dell’architetto Piranesi che nell’anno 1764 su richiesta del cardinale Giambattista Rezzonico ha riprogettato la facciata.

[3] L’Aventino è uno dei sette colli su cui venne fondata l’Urbe.

A livello toponomastico il nome, secondo le fonti antiche, parrebbe derivare da: secondo una prima tesi da uno dei re di Albalonga -figlio di Ercole-; la seconda tesi verte sulla citazione delle locuzioni “ab adventu hominum”, un tempo denominazione di un tempio dedicato a Diana; una terza tesi “ab advectu” a causa delle paludi che lo circondavano; in ultimo, una maggiormente originale, “ab avibus” a causa degli uccelli che transitavano diretti verso il fiume Tevere.

A sua volta la zona del “mons Aventinus” si suddivideva in un vero e proprio “Aventino”, tra il fiume Tevere e la valle in cui sorse il Circo Massimo ed il cosiddetto “Aventino minore” che è l’attuale “collina di San Saba”.

Durante l’età repubblicana entrambi i settori all’interno delle Mura serviane sembrano essere stati compresi nella denominazione "Aventino". Con la suddivisione augustea della città -in 14 regioni- l’Aventino fu suddiviso fra la regione XII (Piscina Publica) e la regione XIII (poi “Aventinus”).

Inoltre il Colle dell’Aventino è intessuto con la fondazione di Roma –in particolare con i relativi miti- ed alla leggenda di Ercole e Caco, oltre a Remo che lo avrebbe scelto come luogo da cui scorgere gli uccelli in volo durante la disputa con il fratello Romolo per la scelta del luogo di fondazione dell’Urbe.

Fu poi inserito nella città ai tempi di Anco Marzio, che l’avrebbe destinato di profughi delle città da lui conquistate (come Tellene e Polidoro), ripopolandolo all’inverosimili. L’Aventino ricevette dunque una prima fortificazione indipendente e più tardi fu inglobato all’interno della prima cinta muraria del VI secolo. Solo successivamente alle repubblicane mura serviane, restò al di fuori del pomerio sino all’età di Claudio.

L’intera area divenne tradizionalmente la dimora cittadina dei plebei, tanto che anche a livello toponomastico assunse il titolo spregiativo di area minore urbana, contrapposta al Palatino che invece era sede del patriziato. Difatti nell’anno 456 a.C. con la lex Icilia de Aventino publicando l’intera area del colle fu distribuita tra i plebei per costruirvi delle case; tale legge fu emanata per impedire ulteriori proteste e rivolte poiché i patrizi avevano occupato suoli di proprietà pubblica e ciò aveva scatenato diversi moti di insofferenza fra la plebe che si era ribellata.

È così che l’Aventino assunse quindi il carattere di quartiere popolare ed anche mercantile (non dimentichiamo la sua posizione presso l’antico porto fluviale dell’Emporium, una posizione strategica ed invidiabile). A causa del suo carattere plebeo il colle fu anche la sede dell’estrema difesa del tribuno della plebe Gaio Sempronio Gracco.

Durante l’epoca imperiale il carattere del colle variò radicalmente, ribaltando quasi in un soffio quell’antico binomio “Aventino-plebe”, e diventò dimora di cospicue residenze aristocratiche, tra le quali le case private di Traiano e di Adriano prima che diventassero imperatori (privata Traiani e privata Hadriani) e di Lucio Licinio Sura, amico di Traiano. A causa di ciò venne distrutto totalmente durante il sacco di Roma di Alarico nel 410 che scatenò il suo odio verso il nuovo quartiere aristocratico distruggendo tutto ciò che era stato costruito.

Sull’Aventino sorgevano la caserma (statio) della IV corte dei vigili oltre agli edifici termali delle thermae Suranae (di epoca traianea), oltre alle thermae Decianae (prima metà del III secolo). Le terme di Caracalla si ersero sulle pendici verso la via Appia.

Quest’area divenne famosa in quanto dedicata a diversi culto, perciò area ad estrema densità di templi. Sorse dapprima un tempio della Luna e successivamente –anche a causa della sua posizione, posta al di fuori dei limiti ufficiali della città- l’Aventino fu spesso scelto per i luoghi di culto delle divinità straniere. Ciò dimostra l’incredibile varietà delle tipologie edilizie presenti nel sito, a cominciare dall’abitazioni plebee, alle patrizie, alle caserme, alle terme ed ai templi. Uno degli edifici di culto dedicati alla divinità straniera è certamente quello di Diana (le cui mura perimetrali, sono tutt’ora custodite nel salone principale del ristorante Apuleius in via del tempio di Diana appunto) fatto erigere da Servio Tullio quale santuario federale. Sull’Aventino furono inoltre costruiti i principali templi dei culti della principale divinità cittadina trasferiti a Roma dalle città conquistate e distrutte con il rito dell’evocatio (ossia il trasferimento a Roma della divinità sostenitrice della città annientata) e tal proposito possiamo osservare: il tempio di Giunone Regina (da Veio) e quello di Vertumno (da Volsinii, oggi Bolsena).

Nell’anno 495 a.C. fu innalzato sugli scoscendimenti verso il Circo Massimo un tempio di Mercurio e nel 493 a.C., ad opera del dittatore Aulo Postumio. Successivamente, in seguito al parere dei Libri sibillini, venne edificato il tempio dedicato a Cerere, Libero e Libera, ovvero le divinità corrispettive a Demetra, Dioniso e Kore.

Santuari di divinità orientali sono più tardi documentate, si pensi quello dedicato a Giove Dolicheno dell’anno 138 a.C.; da sottolineare un luogo di culto dedicato alla dea egiziana Iside, Iseum, si ergeva ove oggi è ubicata l’attuale chiesa di Santa Sabina ed altri mitrei sorgevano in corrispondenza delle attuali chiese di Santa Prisca e di Santa Balbina.

Una parte del colle era detto “Saxum”, noto anche come “Aventino Minore”, ove aveva sede il tempio della Bona Dea, detto anche della “Bona Dea Subsaxana”.

Con la diffusione del cristianesimo –successivamente all’Editto di Milano- sorsero anche su questo colle i primi templi dedicati al culto. L’Aventino divenne un colle cristiano con molteplici edifici di culto, in epoca medioevale tante le chiese tra cui quelle dedicate a: Santa Sabina, i Santi Bonifacio e Alessio e Santa Prisca. Sul “piccolo Aventino” vennero costruite le chiese di San Saba e di Santa Balbina. Il colle assunse un ruolo preminente nella spiritualità dell’Urbe, modificando per la terza volta il carattere: dapprima popolare, poi quartiere residenziale patrizio, ora centro propulsivo della religiosità.

Nell’anno 1765 Giovan Battista Piranesi vi strutturò la Piazza dei Cavalieri di Malta, il nome è dato dalla Villa del Priorato di Malta -sede del priorato del Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri di Malta-. L’intervento dell’architetto trasformò inoltre la chiesetta di Santa Maria del Priorato, adiacente al palazzo, dove egli stesso è seppellito.

Il termine “Aventino” con una impronta di richiamo alla storia romana indica, a livello politico, la secessione parlamentare che i deputati antifascisti misero in atto dopo il rapimento di Giacomo Matteotti, leader dell’opposizione ed ideologo antifascista assassinato dai fascisti poco dopo aver denunciato alla Camera i brogli elettorali e le violenze delle squadre d’azione fasciste.

Il 27 giugno del 1924 i deputati raccolti in una sala di Montecitorio stabilirono di abbandonare i lavori del parlamento e si posero il veto alla richiesta di rientrare in aula sino a quando non fosse stata abolita la milizia fascista e ripristinata l’autorità della Legge.

L’Aventino è tornato ad essere la collina romana elegante, attualmente è una zona residenziale, con una vasta ricchezza di interesse architettonico, sottolineata anche da questa nostra lunga digressione tesa a dimostrare la storicità e la molteplicità degli interventi e delle diverse stratificazioni di tipologie costruttive nel quartiere.

La parte lambita dal fiume Tevere fa parte dello storico rione di Ripa, nome antico che gli resta da tempo immemore. Il nuovo assetto urbano durante i primi del Novecento ha determinato uno stravolgimento dell’intero colle e nell’anno 1921 da “Ripa” fu smembrata la collina minore –meglio nota come “piccolo Aventino”- che è stata destinata ad edilizia popolare. È così che con la ridefinizione delle aree urbane ed il nuovo assetto sorse il quartiere di san Saba rinominato XXI rione.

[4] La famiglia di Alberico II istituì un potere di tipo signorile a Roma.

[5] Come molti altri presenti in Italia sedi priorati del Sovrano Militare Ordine di Malta, si pensi a: Venezia, Asti, Pisa. Donato ai Monaci Benedettini nel XII secolo e successivamente all’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, l’edificio è dal 1312 proprietà del Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri di Malta che qui ha stabilito la sede del priorato. Nel complesso si apre il famoso portale dalla cui serratura si vede la cupola di San Pietro. La collina dell’Aventino era, tra tutte, la meno accessibile, oltre che la più isolata.

[6] La splendida chiesa di Santa Maria all’Aventino è conosciuta da pochi nonostante la visita è resa possibile dalla cortese concessione del Sovrano Militare Ordine di Malta ai gruppi che ne fanno -con un congruo anticipo- richiesta.

[7] Il Pomerio è stato a lungo considerato il limite sacro dell’Urbe.

[8] La Sede, o le Sedi precedenti a quella del monastero di San Basilio, non sono tuttora venute alla luce, anzi il trasferimento della sede priorale in Santa Maria dell’Aventino ha addirittura indotto la tipografia popolare, a cominciare dalla seconda metà del secolo XVI, con il designarla “Santa Maria del Priorato”.

Ma vi è di più: sia il monastero di San Basilio che quello di Santa Maria all’Aventino, secondo lo stato patrimoniale del Gran Priorato di Roma del 1333/1334, erano due precettorie. Ed allora, davanti ad un documento amministrativo così autorevole, non si può non convenire che doveva esistere una sede priorale romana, e da ben due secoli, non coincidente con quella creduta nel monastero di San Basilio

[9] Con il tempo il titolo della “religione” dell’Ordine gerosolimitano ospedaliero di San Giovanni dopo la caduta della Città Santa -e successivamente anche di Acri- passò a Cipro, poi a Rodi ed infine Malta.

[10] Così Marguerite Yourcenar definisce nel suo saggio intitolato “La mente nera di Piranesi” il grande incisore veneziano mettendo efficacemente a fuoco la sua personalità.

[11] In realtà le sue ambientazioni precorrono di diversi secoli il surrealismo.

[12] La chiesa di Santa Maria del Priorato, sorse come chiesa cristiana già nel X secolo e fu ricostruita nel 1568, subì una radicale ristrutturazione nel 1764-66, quando divenne Gran Maestro dell’Ordine il cardinale Giovan Battista Rezzonico che affidò al Piranesi il rinnovo della chiesa oltre che della piazza antistante, così come l’artista veneto poté realizzare l’unica opera architettonica della sua carriera che non fosse rimasta allo stato di intenzione nei suoi superbi disegni.

[13] Occorre ricordare che il Piranesi giunto a Roma da Venezia nel 1740 all’età di vent’anni – disegnatore al seguito dell’ambasciatore della Serenissima Francesco Venier – fu, come lo era stato duecentoquaranta anni prima Bramante, affascinato e conquistato dalle rovine antiche, che lo influenzarono in tal modo da divenire l’esclusivo soggetto-oggetto del suo interesse per tutto il corso della carriera dell’artista.

[14] In quello stesso anno il Piranesi si stava ancora occupando della basilica lateranense.

[15] L’ecletticità è la migliore aggettivazione della chiesa di Santa Maria al Priorato di Roma.

[16] La basilica del Redentore e Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia sono state progettate dall’architetto Palladio. Andrea di Pietro della Gondola nasce a Padova il 30 novembre 1508 e muore a Maser il 19 agosto 1580 da tutti conosciuti con lo pseudonimo Andrea Palladio è stato un architetto e scenografo italiano.

Palladio ha reso celebre l’architettura italiana rinascimentale divenendo padre di uno stile –il cosiddetto “stile palladiano”, appunto - che aderisce ai principi classico-romani, in contrapposizione ai ricchi ornamenti rinascimentali, è difatti più scevro di orpelli, quasi razionalistica.

Palladio progettò spaziando fra diverse  tipologie edilizie: chiese, ville e palazzi, soprattutto a Vicenza, città in cui si formò e si trasferì, oltre alla capitale che era Venezia. Diverse ville sorgono anche nelle aree circostanti le “metropolitane”, ad esempio nella zona del Brenta. È certamente l’architetto più importante della Repubblica di Venezia, ancor’oggi il simbolo dell’area nord-orientale rinascimentale. Reso famoso per un’edilizia nuova che cita i classici, ad esempio i canoni e le proporzioni di molti suoi edifici sono citazioni che mutuano gli stilemi del Pantheon.

Pubblicò il trattato I quattro libri dell'architettura (1570) attraverso il quale i suoi modelli hanno avuto una profonda influenza nell'architettura europea; l’imitazione del suo stile diede origine ad un movimento destinato a durare per tre secoli, il palladianesimo e neopalladianesimo.

[17] Il Cardinale Giovanni Battista Rezzonico –Gran Priore dei Cavalieri di Malta- è stato il protettore dell’architetto Piranesi.

[18] G. C. Argan, op. cit. p.292-293.

[19] In realtà appare come un frons scenae incredibilmente prezioso e degno delle più auliche citazioni.

[20] Questo altare risale alla prima fase della chiesa.

[21] Tuttavia queste paraste scanalate ospitanti lastre scolpite con spade rituali non appartengono ad nessun ordine architettonico.

[22] Id., op. cit. p.292.

[23] Il simbolo della torre è lo stemma della famiglia Rezzonico, Cardinale dell’Ordine mecenate.

[24] Id., op. cit. p.292-293.

[25] Fra esse le lettere ed è sormontato da decorazioni che trasformano la finestra preesistente in una specie di sarcofago.

[26] Id., op. cit. p. 293-294.

 


 
 
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