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Lucca e Sansepolcro

la disputa del Santo Volto

La questione della “paternità” del Volto Santo è un’antica disputa, ancora oggi ampiamente dibattuta fra storici dell’arte e particolarmente da alcune città dell’area centrale dell’Italia, all'interno della  Regione Toscana.

Le città coinvolte in questa "diatriba" –che a volte ha i toni tipici di quel vezzo brioso e di quel pizzico di estrosità tipica dei toschi- sono Lucca e Sansepolcro.

Occorre precisare che ciascuna vanta il primato e l’originalità nell’aver ospitata per prima il Volto Santo magistralmente riprodotto.

La questione può apparire a tratti goliardica per sonnolenti nordici abituati alle brumose nebbie e che ha quasi dell’incomprensibile, mentre non è così. Per la gente toscana l’orgoglio di appartenere ad una città -o addirittura ad un rione- è qualcosa di cui vantarsene, di cui andarne fieri, per cui urlare, lottare o gareggiare. Una "logica" che ad un pragmatico potrebbe apparire una scelta illogica, sconveniente. I toschi -invece- sono così: briosi e sanguigni come il loro mare, come quella loro terra così bella e sterminata, così forte come la bontà dei tesori d’arte e pregna come i loro ottimi vini.

Parlar d’arte in Toscana è questione –diremmo oggi- di “pride”… e credo che questa possa e debba esser l’unica forma di cui vantarsi, l’unica “arrogance” di cui potersi gloriare ed ostentare!

 La storia di questa diatriba si confonde addietro, in un tempo remoto e lontanissimo.

Il mistero di una disputa che oppone Sansepolcro ad un’affine scultura, custodita e onorata a Lucca. Agli storici dell’arte l’ingrato compito di stabilire quale delle due fu la prima ad esser stata scolpita. Ovviamente non basta far esaminare i materiali impiegati, occorre dimestichezza nel saper valutare e discernere la foggia con cui, l’abile mano, ha estratto da un informe legno un’opera che sa parlare al cuore di chi le osserva. E certamente non basta azzardare un’ipotesi pressoché verosimile, occorre anche confrontarsi con testimonianze –attendibili- se esistono.

Quale la risposta alla domanda: quale delle due è l’originale? E le interrogazioni incalzano verso chi si occupa di storia dell’iconografia e dell’arte: il crocifisso di Lucca –secondo la tradizione- sarebbe giunto in Toscana nel 782. E fin qui nessun dubbio. La questione si complica se si rinviene un documento che può metter in contraddizione la tradizione ed è quanto accaduto allorquando una studiosa di storia dell’arte -Anna Maria Maetzke[1]- mette in dubbio che l’originale non sarebbe quello di Lucca, meglio noto come il Volto Santo, bensì quello aretino del Borgo di San Sepolcro. Nessuno aveva mai osato tanto! La studiosa -molto accreditata nel mondo scientifico- ha reso noto un clamoroso documento –che reca una data, 29 maggio 1179- in cui si attesta la cessione per 70 denari d’argento del Crocefisso ai Frati camaldolesi del Borgo d’Arezzo, una somma tuttavia modesta come ha avuto modo di sottolineare un grande esperto come Franco Cardini. Quest’ultimo non osa dubitare di quanto detto dalla collega ed anzi asserisce che «Anna Maria Maetzke è studiosa troppo prudente e avveduta per abbracciare incaute e precipitose ipotesi».

Certo è che la scoperta della Maetzke ha scatenato un vero e proprio vespaio di polemiche e contestazioni, un putiferio di infinite di gelosie e rivalse. Il partito difensore della “primarietà lucchese” domanda alla storica dell’arte come mai il decantato documento non sia stata fornito di un’esatta collocazione archivistica. Difatti la mera citazione della Maetzke ha gettato disappunto nel mondo accademico -in particolare fra i “lucchesi”-, in quanto il partito dei fedeli al Volto Santo di Lucca vorrebbe un confronto all’interno del mondo scientifico, cosicché sia consentito eventualmente ad altri studiosi di poter appurare la veridicità della tesi della studiosa. La protagonista del ritrovamento si difendeva dagli spietati attacchi di chi vanta la custodia del vero primo Volto Santo della storia. Anna Maria Maetzke ha spiegato più volte nella sua pubblicazione degli atti del convegno della scoperta.

Il direttore dell’Archivio vescovile e della Biblioteca capitolare di Lucca -Monsignor Giuseppe Ghilarducci- impiega toni da battaglia: «Perché non è possibile saperla ora la segnatura archivistica? Secondo me il Crocefisso di Sansepolcro è una delle tante copie che sono state fatte in Europa prima e dopo il Mille. È impensabile che i lucchesi dessero via la reliquia originale e che la venerazione sia passata alla copia».

Ma la pietà popolare e la devozione? Tutto si condenserebbe a partire dal Cristo custodito a Lucca. Orbene il culto del Volto Santo di Lucca nel corso dei secoli ha ottenuto un successo impressionante, che certo non risolverebbe la disposizione di svenderlo ai camaldolesi di Borgo San Sepolcro. Desideriamo abbracciare la richiesta –legittima- di spiegazioni di Franco Cardini, difatti «perché i lucchesi avrebbero dovuto disfarsi di un’immagine tanto illustre capace di calamitare prestigiosi pellegrinaggi?».

Non sarebbe la prima volta che un’icona, una reliquia vada altrove. Ma appare strano che la traslatio del Volto Santo –quanto meno è decisamente strano- avvenga a favore il fatto di Sansepolcro.

Il mistero si infittisce perché in Lucca non c’è nessuna notizia al riguardo, tranne che il documento ritrovato in ambito aretino da Anna Maria Maetzke. Se fosse vero sarebbe davvero un enorme rebus, un caso senza eguali.

Prof. ALESSIO VARISCO

Storico dell’arte e saggista

Direttore "Antropologia Arte Sacra"


[1] Anna Maria Maetzke, soprintendente per i beni artistici, ambientali, storici, demoetnoantropologici di Arezzo, è morta l’11 marzo 2004. La dottoressa Maetzke ha prestato servizio dal 1968 presso la Soprintendenza, dapprima come ispettore storico e poi dal 1991 come responsabile della struttura. Molto stimata ed apprezzata come medievalista nella comunità scientifica nazionale ed internazionale, Anna Maria Maetzke, ha fornito validi ed importanti contributi alla storia dell' arte italiana. Laureata in lettere presso l'università degli studi di Roma 'La Sapienza' nel 1966, frequentò poi un corso di specializzazione post laurea. Dal 1967 al 1968, in qualità di borsista presso la soprintendenza alle Gallerie di Firenze, svolse lavori e ricerche inerenti il restauro delle opere d'arte danneggiate dall'alluvione del 4 novembre 1966. Poi, nel 1968, il trasferimento ad Arezzo dove istituì il laboratorio di restauro della Soprintendenza aretina. Tra gli incarichi ricoperti ad Arezzo, quello della direttrice del Museo Medioevale e Moderno e del Museo di Casa Vasari. Fu curatrice di numerosi restauri di importanti opere d'arte quali quelle di Margarito d'Arezzo, di Pietro Lorenzetti, di Spinello Aretino, di Bartolomeo della Gatta, di Domenico Ghirlandaio, di Beato Angelico, di Giovanni Camillo Sacrestani. Come soprintendente, Anna Maria Maetzke, aveva portato a termine il prestigioso ed importante restauro del Ciclo Pittorico della 'Vera Croce' di Piero della Francesca, il restauro del crocifisso ligneo del Cimabue in San Domenico di Arezzo, del Ciclo dei Mesi nel portale della Pieve di Santa Maria.

 


 
 
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