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In difesa del Motu Proprio
 

So che il mio, in questa sede e in questo contesto, e un difficile compito.  Cattolico, tradizionalista, uomo d'ordine e di forte senso dello stato, potrei forse ancora dirmi “di destra”. Da anni non mi considero ne  mi autoqualifico piu in tal modo: ma vedo che cosi continuano ad etichettarmi, confesso che la cosa mi secca un po', tuttavia lascio correre. Ma la mia tensione verso la giustizia sociale e il mio convinto europeismo m'impediscono di provar la minima simpatia per una destra che ormai ha scelto quasi all'unanimita il liberismo e l'atlantismo piu sfrenati e che sovente ostenta  anche un filocattolicesimo peloso, strumentale, palesando di ritener la Chiesa cattolica solo un baluardo dell'ordine costituito (l' “ordine” di lorsignori) e del benpensantismo conformista. Lo dico chiaramente: non mi piacciono i cattolici che con la scusa della difesa della “civilta occidentale” ammirano quel monumento all'ipocrisia e all'uso politico della fede che sono gli “atei devoti”; ne apprezzo le ragioni del tutto strumentali per le quali alcuni “laici” simpatizzano per la Chiesa di Ratzinger.
Non mi sogno nemmeno di finger di dimenticare che proprio da tali ambienti sono partite, con pochissime eccezioni – il sempre lucido e paradossale Guido Ceronetti, per esempio – le difese d'ufficio del
Motu Proprio con il quale  Benedetto XVI autorizza di nuovo esplicitamente ed estensivamente l'uso (mai del resto prima proibito) della lingua latina nella liturgia ecclesiale cattolica, in particolare nella messa. Non mi sono affatto piaciuti gli accenti rancorosi e trionfalistici con i quali certi cattolici, oggi vicini ai teocons americani e convinti che Cristianita e Occidente moderno  siano tutt'uno (e che magari l'aggressione all'Afghanistan e all'Iraq sono state guerre “giuste”, se non addirittura “sante”...) hanno salutato con poco caritatevoli “Avevamo ragione noi” un documento pontificio le ragioni del quale sono ben piu alte e profonde di quanto non sospetti chi pensa a un regolamento di conti fra opposte cosche vaticane. Non apprezzo per nulla,del resto,il fariseismo di pessima lega degli ipercattolici tutti Dio, Embrione e Famiglia che accolgono con entusiasmo quanto meno sospetto dal “musulmano”(?) Magdi Allam lezione di difesa della Cristianita e che non mostrano di preoccuparsi nemmeno un po' dei mali derivanti nel mondo dall'ingiustizia dilagante e degli innocenti che ogni giorno muoiono in tutto il pianeta per carenza di cibo, d'igiene e perfino d'acqua, mali a gran parte dei quali i Signori della Finanza e della Tecnologia e i politici che ne sono Comitato d'Affari potrebbero in buona parte ovviare se solo accettassero di rinunziare a una fettina dei loro profitti.
D'altronde,ho visto molti cattolici e molti vescovi che oggi sento piu vicini al mio modo   d'intendere il cattolicesimo assumere una posizione ostile o comunque molto riservata di fronte alla scelta liturgica e disciplinare del Santo Padre. Mi ha allarmato la critica  molto dura, se l'ho intesa a dovere, del priore di Bose, Enzo Bianchi, che ammiro e col  quale di solito mi sento sempre, da molto tempo ormai, in sintonia.    
Questo disagio non m'impedisce,  tuttavia, di provare una gioia straordinaria e di esprimere un consenso incondizionato rispetto alla decisione di Benedetto XVI. E di proclamare ad alta voce che sbaglia chiunque (non importa se “da destra” o “da sinistra”) legge in essa,ingenerosamente e riduttivamente, un tentativo di “rimandar indietro le lancette dell'orologio della storia, o di compiacere questo o quell'ambiente conservatore, o di far rientrare una volta per tutte le istanze “scismatiche” dei residui ambienti lefevriani. Niente di tutto cio. Il papa  vola ben piu alto e scende molto piu in profondo.
Non si tratta per nulla di “tornare indietro”. Al contrario,  papa Ratzinger guarda avanti eccome. Ristabilendo la piena legittimita di utilizzare il rito del Messale di san Pio V, avallato nel 1962 da Giovanni  XXIII,  egli non cancella affatto l'uso delle lingue moderne (“vernacole”, come si dice), ma ne consente con pienezza di liberta l  'utilizzazione e addirittura ne autorizza la convivenza con il  latino laddove cio sia pastoralmente opportuno. La sensibilita dei vescovi e del clero nell' amministrare le opportunita consentite da questa nuova risorsa  liturgico-culturale e il criterio che il “Motu Proprio” pontificio privilegia;  il consenso delle singole comunita e la collaborazione interna a ciascuna di esse tra clero e popolo e il principale requisito raccomandato nelle scelte che guideranno la rinnovata vita liturgica.
A questo punto, va detta un'altra cosa che non  tuttisannoo mostrano di aver capito. Il latino non e, non e mai stato, una “lingua morta”. Esso resta il paradigma idiomatico-culturale di tutta una civilta che non e soltanto occidentale, ma che e universale: non solo la liturgia e la teologia, bensi anche la filosofia, la scienza, la diplomazia  e soprattutto il diritto che tutto il mondo seguiva, o al quale esso comunque guardava, si  sono espressi  fino a tutto il XVIII secolo in latino. Fino ad allora,le lezioni universitarie si tenevano in latino. Perfino nelle corti di Mosca, di Istanbul, di Isfahan, di  Delhi,di Pechino e di Kioto si ricevevano messaggi diplomatici redatti  in latino da parte delle potenze occidentali e in tale lingua si  rispondeva.
Nella nostra povera piccola Italia, molti borghesucci piccoli piccoli hanno acclamato alla “liberazione” quando una trentina di anni fa le nostre scuole, sbagliando, hanno ridotto il peso e l'importanza del latino (proclamato “inutile”)fino a farlo quasi sparire nel ”training”  educativo dei nostri ragazzi.   Ma dev'esser chiaro che cio non e stato un bene neppure sotto il profilo pratico, funzionale e utilitario: da allora si e cominciato a deteriorare anche l'uso dell'italiano nelle stesse classi “colte”, mentre le possibilita di studiare con profitto le lingue straniere (specie quelle che, come il tedesco e il russo, presentano rispetto al latino grosse affinita strutturali) si sono andate restringendo; e sono affiorate per contro difficolta crescenti nell'uso dei linguaggi scientifico e tecnologico,profondamente   permeati di elementi lessicali latini. E, del resto, il nostro cronico provincialismo c'impediva di vedere che, in altri paesi, non accadeva affatto  quel che succedeva da noi:altrove, dalla Germania alla Polonia alla Boemia fino al Giappone, gli istituti di alta cultura scolastica si guardavano bene dall'abbandonare lo studio del latino.  La Chiesa cattolica statunitense gli e rimasta, dagli Anni Ottanta ad oggi, estesamente e profondamente fedele. In Finlandia esiste un'emittente radiofonica, seguitissima nel paese e molto ascoltata all'estero,  che diffonde in latino qualunque tipo di notizia, incluse le economiche,le politiche e le sportive. Dall'America alla Cina si vanno facendo esperimenti di adattamento del linguaggio informatico all'idioma latino,e molti esperti assicurano che la lingua di Cesare e di Virgilio e, a tale scopo, obiettivamente e in linea di principio molto piu duttile e pratica di quella di  Shakespeare (per non parlare di quella di Bush...).
Ma vediamo anche l'aspetto propriamente religioso ed ecclesiale. Nulla come il latino predispone a un autentico “Ut unum sint” in tutta la Chiesa. Che i cattolici di tutto il mondo possano tornar a pregare insieme, e attraverso il linguaggio della preghiera a rivalorizzare in senso assoluto uno strumento fondamentale di comunicazione e di pensiero, e un fatto di straordinaria importanza. La realta si conosce attraverso il tramite linguistico: questa e la grande lezione che la migliore psicanalisi e la migliore semiotica ci hanno impartito nel corso del XX secolo. Come ha dimostrato Sigmund Freud, il linguaggio onirico si esprime per moduli strettamente legati all'idioma materno del sognante. Le realta profonde si colgono solo secondo una lingua data. Ebbene, sappiatelo chiaramante, o cristianucci occidentali:  l'Occidente conosce Dio in latino, e solo attraverso il latino Lo capisce appieno.
Da qui, e ovvio,discende quindi la necessita di rivedere le tradizioni vernacole della liturgia,delle quali il rinnovato confronto con il latino palesera tutta l'inadeguatezza. Non potremo continuar piu a tradurre lo splendido “Agnus Dei, qui tollis peccata mundi” con un insulso,stupido e sbagliato “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo”. Incarnandosi e salendo sulla croce,il Cristo non ha “tolto” un bel niente. Al contrario: ha assunto su di se (questo l'autentico significato del verbo latino 
tollere, che significa “prendere” e “sostenere”) il peso di tutti quei peccati e li ha pagati col sacrificio del  Suo sangue.
E va da se che nessun cattolico vorra piu, nella liturgia del Giovedi Santo,  pregare “et pro perfidis Iudaeis”. La parola “perfidus”, in latino,ha il significato etimologico di “colui che si e allontanato dalle fede”:il che, dal punto di vista cristiano, si puo ben dire degli ebrei che, atteso fedelmente per secoli il Messia,quando Egli e arrivato non lo hanno riconosciuto. Ma non va certo ignorato che quella parola ha semanticamente assunto,nel linguaggio comune,il valore di “perverso”, “feroce”,”malvagio”.  Era quindi cattiva,in tutti i sensi”, la traduzione italiana “preghiamo per i perfidi giudei”,che aveva finito per assumere un odioso connotato razzistico. Io spero che, nella riproposizione latina della liturgia, la preghiera per gli ebrei (ora stolidamente abolita: come cattolico,esigo di continuar a pregare per loro) venga restaurata con un bel “Oremus et pro fratribus nostris Iudaeis”; e sia magari accompagnata da preghiere per gli altri nostri fratelli, per tutti. I musulmani, gli aderenti alle altre religioni del mondo, i non-credenti, gli atei. Solo cosi la lingua latina tornera sul serio a essere quel ch'e profondamente sempre stata: l'autentica lingua della pace  universale; la lingua di quei due giganti dell'ideale di fratellanza umana che sono stati Marco Aurelio e sant'Agostino.
Ecco perche credo che il
Motu Proprio di papa Benedetto XVI vada accolto con gioia e con ammirazione. Non vuol tornare indietro: interpreta il presente e guarda con generosa lucidita al futuro. Non vuol dividere: intende unire. Non vuol impoverire e ridurre: arricchisce, amplia, innalza, approfondisce. Ma dev'essere correttamente inteso: senza pregiudiziali equivoci “di sinistra”, senza miserabili strumentalizzazioni “di destra”. Non e ne di destra, ne di sinistra. E' al di sopra e avanti.

13/7/2007

                    Prof. Franco Cardini

 


 
 
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