I Vangeli non
fanno riferimento all'attività di Giuseppe: se ne parla
solo in occasione della discussione sulla provenienza del
Cristo: "Non è costui il falegname, il figlio di Maria
?".
Il termine usato dagli evangelisti - tèkton -
tradotto con "falegname", può assumere il significato di
"carpentiere" e "fabbro". L'apologista Giustino nel
Dialogo con l'ebreo Trifone, composto intorno al 155,
riferisce che Gesù faceva aratri di legno e gioghi. E
nell'apocrifo dello Pseudo-Matteo e nella Storia
di Giuseppe falegname si dice espressamente che
Giuseppe "era ben istruito nella saggezza e nell'arte
della falegnameria". L'iconografia trasmette
sporadicamente questo aspetto di san Giuseppe faber
lignarius: si segnalano due miniature del dodicesimo
e tredicesimo secolo relative alla scena del ritorno di
Giuseppe dai cantieri, in cui si evidenzia l'uso di
strumenti da lavoro: nella prima una sega e nell'altra
un'ascia.
Queste figurazioni, attribuite a maestranze del
nord-Italia, non erano frutto del caso; una corrente
dottrinale, infatti, ha inteso vedere nel santo che lavora
per fabbricare oggetti utili, l'immagine del Padre
celeste, artefice di tutte le cose, o anche lo Spirito
santo, santificatore.
E Massimo il confessore (+ 662): "Esercitava il mestiere
di carpentiere, esperto nell'arte più di tutti gli altri
carpentieri: infatti doveva essere al servizio del vero
architetto, il creatore e carpentiere di tutte le
creature". Si trattava, in definitiva, di un discorso
esegetico che presentava in chiave simbologica -
tipo/anti-tipo - il personaggio e il suo mestiere,
ponendolo in stretta relazione con la divinità e la sua
opera salvifica: Adamo-Eva = Giuseppe-Maria =
Cristo-Chiesa; Dio artefice del creato = Giuseppe
artigiano di manufatti.
Sul piano testuale, le fonti d'ispirazione nel medioevo
furono principalmente due: la Legenda Aurea del
domenicano Jacopo da Varazze, enciclopedica raccolta di
vite dei santi a uso dei predicatori, a cui attinsero
ampiamente anche gli artisti, e le Meditationes
dello Pseudo-Bonaventura, opera mistica di ambito
francescano, in cui nel capitolo sulla permanenza in
Egitto si legge: "Trovano una casetta e vi restano per
sette anni(...) Ho letto da qualche parte che la Signora
procurava il necessario alla vita per sé e per suo figlio
tessendo e cucendo(...) In più, c'era quel santo
vecchietto di Giuseppe che, come falegname, si dava da
fare".
Nell'arte paleocristiana, la figura di san Giuseppe venne
rappresentata con intenti narrativi e didascalici, quale
elemento provvidenziale della Redenzione. E per connotarlo
visivamente, una sega al suo fianco, come vediamo ad
esempio nell'Evangeliario di Milano, del quinto secolo;
una figurazione affine compare nel riquadro di seta sargia,
appartenente al tesoro del Sancta Sanctorum al
Laterano in Roma, risalente al sesto secolo. Si andava
affermando la rappresentazione del faber lignarius,
"un tipo carico di realismo, e perciò coerente con lo
spirito della società occidentale: la quale, come ad
esempio preferì vedere il martire non nella ieratica
trascendenza dell'arte orientale, ma nella realtà della
sua sofferenza e conseguentemente lo raffigurò con gli
strumenti della sua passione, allo stesso modo volle
vedere Giuseppe in una dimensione tutta umana: uomo
dunque tra gli uomini, non diverso dagli altri solo perché
eletto a rendere testimonianza del grande avvenimento
dell'incarnazione".
Nel medioevo, con la fioritura delle sacre
rappresentazioni, spettacolo di piazza edificante,
Giuseppe presenta i tratti del padre operoso e
accogliente: sistema la paglia, giaciglio di fortuna
nella povera stalla, dove il Bambino giace come ostia di
splendente candore, nell'oscurità della grotta. E porta
fascine, accoglie i pastori offerenti, esprimendosi nel
linguaggio umano dei sentimenti.
Il rinascimento, poi, vede affermarsi nuove figurazioni,
ispirate alle Rivelazioni di santa Brigida: Giuseppe va
in cerca di un lume, di fuoco, di cibo. La sua immagine si
arricchisce di aspetti, gesti e motivi, tratti dalla
quotidianità, assumendo sempre più un profilo realistico e
attualizzato.
Mentre fino al rinascimento Giuseppe veniva raffigurato
all'interno del ciclo dell'infanzia, e mai isolatamente,
l'affermarsi del culto, nel corso del quindicesimo secolo,
determinò tipologie innovative che ne accentuavano il
ruolo di padre putativo, educatore, intercessore e
patrono. Ciò si deve, innanzitutto, all'azione degli
ordini mendicanti, promotori di una pietà più vicina alla
sensibilità dei fedeli: in Italia san Bernardino da
Feltre e san Bernardino da Siena contribuirono alla
diffusione del culto, sollecitandone la raffigurazione in
sembianze di età matura, e non senile come d'uso; il
prestigioso teologo francese Giovanni Gerson ne promosse
la devozione, da esprimersi concretamente nella festa
dello Sposalizio di Maria e Giuseppe.
L'introduzione ufficiale del culto è legata alla figura di
Sisto IV (1471-1484): il testo non ci è pervenuto, ma la
sua promulgazione è sicura, poiché il Breviario romano,
pubblicato a Venezia nel 1479, offre per la prima volta,
al 19 marzo, la festa del santo.
Gregorio XV, nel 1621, ne decretò la festa, tra quelle
comandate; a partire da questa data, si registra un
impulso particolare della produzione artistica, dovuto
soprattutto alla committenza di gruppi laicali,
confraternite, compagnie d'arti e mestieri, istituti
religiosi, che ne invocavano il patrocinio, e vollero
dotarsi di opere d'arte rappresentative. È di questo
periodo una molteplicità di realizzazioni: cicli
pittorici, pale d'altare destinate alla decorazione di
omonime cappelle, statue, incisioni, reliquiari, medaglie.
Per quanto riguarda, specificamente, l'attività artigianale, la prima
scena di lavoro che vede Giuseppe intento al banco di
falegname, è quella riferita al miracolo dell'asse
allungata, di derivazione apocrifa. Si narra come il
falegname, trovandosi alle prese con un'asse dalla
lunghezza non corrispondente a quanto ordinatogli,
trovasse aiuto nel bambino Gesù, che prodigiosamente
intervenne dicendogli di tirare insieme l'asse, allungata
come occorreva: la scena è narrata nell'Evangelica
Historia, opera trecentesca di ambito lombardo:
"Quando Gesù aveva otto anni, Giuseppe faceva il falegname
e lavorava col legno. Un giorno un uomo ricco lo pregò
dicendo: signor Giuseppe, vi prego che mi facciate un
letto ottimo e bello, e gli fornì il legno per l'opera.
Giuseppe preso il legno cominciò a misurarlo: non andava
bene però per fare quel mobile, perché l'aveva tagliato
(male). Si angustiava Giuseppe, perché non riusciva a fare
come voleva. Il fanciullo Gesù vedendo Giuseppe
rattristarsi, gli disse: non angustiarti, ma prendi il
legno da un capo e io lo prenderò dall'altro, e lo tirerò
quanto possiamo. Fatto questo, Giuseppe si accinse di
nuovo a misurare il legno e lo trovò ottimo per quel
lavoro. Visto quello che aveva fatto Gesù, Giuseppe lo
abbracciò dicendo: "Sono felice che Dio mi ha dato un
tale fanciullo"". L'episodio venne a lungo tramandato,
divenendo parte integrante della tradizione orale.
Ma la scena di lavoro più largamente rappresentata, fu la
Sacra Famiglia nella bottega, i cui primi esemplari
si ebbero all'inizio del sedicesimo secolo - Albrecht
Durer (1471-1528), Luca Cambiaso (1527-1585), Federico
Barocci (1535-1612), Bartolomeo Schedoni (1578ca-1615).
Questa iconografia intendeva descrivere la vita quotidiana
a Nazaret, secondo il gusto per il naturalismo e lo stile
descrittivo invalso nell'arte sacra.
Lo schema figurativo presenta Maria, intenta a cucire o
filare, Giuseppe falegname al suo banco da lavoro, alle
prese con l'accetta, la sega, o la pialla, contornato
dagli attrezzi e dalle travi - generalmente tre - e Gesù
operoso, impegnato nell'apprendistato, o nelle piccole
incombenze domestiche.
Nel periodo della riforma cattolica si dedicò particolare
attenzione alle immagini, quale tramite per richiamare
ideali di operosità; e soprattutto con l'istituzione della
festa liturgica nel 1621, il tipo iconografico del santo
falegname conobbe una speciale fioritura, e venne
arricchito di elementi simbologici, funzionali agli
intenti catechetici di cui l'arte doveva farsi interprete.
All'interno del contesto narrativo della Sacra Famiglia,
intessuto di aspetti leggendari e dottrinali, troveranno
spazio elementi che esplicitano il presagio della
Passione, innanzitutto nel motivo iconografico della
croce, presente in modo figurato o in via di
realizzazione; inoltre, il tema è richiamato dagli
strumenti da lavoro, che alludono significativamente agli
strumenti della Passione, e ancora, è rievocato dai
simboli eucaristici.
Gli strumenti, la croce, i simboli, richiamano così alla
mente dell'osservatore non solo il mestiere compiuto dal
padre e dal figlio, ma soprattutto il progetto salvifico
che quegli strumenti avrebbero portato a compimento.
Assumevano, dunque, una valenza simbolica archetipica,
tale da potersi riproporre in altre scene del ciclo
santorale, al di fuori del proprio contesto narrativo:
figurano infatti nelle scene del Sogno, come si
vede nella maiolica settecentesca di Monticchio - sita nel
chiostro del monastero del Santissimo Rosario di
Monticchio a Massa Lubrense (Napoli) - o nella Natività
della Chiesa di san Francesco a Camerano (Ancona), o in
varie raffigurazioni del Transito.
L'iconografia della Sacra Famiglia nella bottega del
falegname, dunque, si fa portatrice di temi e motivi
profondi e significativi, a partire dal diciassettesimo
secolo, improntando figurazioni nuove, pur attingendo al
repertorio iconografico tradizionale. La spiritualità
della riforma cattolica portò infatti all'innovazione dei
moduli consueti, e altri ne determinò. Questo il processo
riscontrabile nelle seguenti figurazioni.
In primo luogo si propone la raffigurazione dell'Oratorio
del Binengo di Sergnano (Cremona): opera di fattura
popolaresca, dall'impianto figurativo essenziale, mostra
un originale motivo iconografico sullo sfondo, una torre,
simbolo mariologico, da cui provengono gli angeli recanti
le travi. Mentre Giuseppe pialla, Maria cuce, e Gesù
adolescente spazza; si legge, nella Mistica Città di
Dio di suor Maria de Agreda (1717), come nella vita
familiare Maria e Gesù riordinano e riassettano l'ambiente
di lavoro .
Più ricercata l'impostazione della Sacra Famiglia attribuita a
Giulio Clovio (1498-1598), pergamena dipinta della
Fondazione Querini-Stampalia (Venezia): un fitto
pergolato sovrasta la scena, in cui campeggia il Bambino,
in candida veste, che trattiene un fiore allusivo alla
futura Passione. Giuseppe lavora al bancone, mentre gli
angeli dispongono il legno, in piccoli pezzi. Nel cesto di
Maria, la veste azzurra che richiama la divinità, la
natura divina che Cristo assumerà.
Vari dettagli simbologici richiamano la nostra
attenzione: i legni tra le mani dell'angelo chinato,
dall'apparenza di canne spezzate, sono tre, come tre
quelli nel cesto, di cui uno, ricurvo, descrive una croce
sovrapponendosi all'ultimo legnetto. La canna raffigurata,
sembra richiamare il momento delle battiture inflitte al
Cristo nel Pretorio, così come l'uva del pergolato
richiama il sangue versato per la Redenzione degli uomini.
Ancora, i tre vasi di fiori si differenziano per il loro
contenuto: quello accanto a Giuseppe è spoglio, mentre
quello più prossimo al Bambino è fiorito e rigoglioso; in
lontananza, il giardino circoscritto da mura rievoca il
tema dell'Hortus Conclusus.
Ancora più esplicito il riferimento eucaristico nella
Sacra Famiglia di Jan Soens (1547ca-1610-11), in cui
campeggia una vite avviluppata al tronco centrale, il cui
frutto maturo viene offerto da un angelo che si fa
incontro all'osservatore; il Bambino prende per mano
Giuseppe, per volgerlo verso Maria intenta a cucire la
veste della Passione.
Una linea ideale congiunge il volto di Maria, lungo l'asse
visivo della tettoia di paglia, alla figurazione
dell'uccellino, che simbolizza il paradiso. E un'altra
linea ideale sembra riconnettere lo sguardo della madre,
dapprima al figlio, e successivamente alla mano operosa
del falegname.
Il gioco di sguardi è emblematico nella seicentesca
Sacra Famiglia del Maestro di Serrone, oggi nel museo
diocesano di Foligno, in cui il Bambino, dall'espressione
intensa, sta annodando due legnetti, in foggia di croce,
con un filo proveniente dal gomitolo nel cesto,
significativamente posato su un libro di piccole
dimensioni, che allude alla Scrittura. E accanto, il
drappo azzurro che simbolizza il divino.
Caratteristica la Sacra Famiglia di Cesare Mariani
(1828-1901) - nella chiesa romana di san Giuseppe dei
Falegnami - in cui la croce domina la scena, efficace
richiamo visivo, insieme alla veste rossa di Gesù, che
richiama la Passione.
Di particolare valore simbologico, l'opera del pistoiese Giuseppe Catani
Chiti, che partecipò al concorso nazionale di Torino per
una Sacra Famiglia, nel 1898. Il trittico in cui è
inserita la rappresentazione, denota il gusto per la
tradizione pittorica senese; il fulcro della composizione
risiede nella particolarità del giogo sulle spalle di
Gesù, iconografia di ispirazione francescana, presente
nella vela dell'obbedienza nella basilica inferiore ad
Assisi. L'iscrizione evangelica che appare sul giogo
iugum meum suave est, richiama la mite sottomissione
del Cristo, quale figlio nella Sacra Famiglia, e con
accentuato simbolismo allude all'obbedienza evangelica;
Giuseppe trattiene tra le mani una parte dell'aratro in
costruzione, di cui l'elemento in primo piano è una
componente. Molti i dettagli rivelatori di una profonda
cultura scritturistica e simbologica: le lumeggiature
radiali, l'arcobaleno, il colorismo delle figurazioni.
Il pittore contemporaneo Rodolfo Romano ha realizzato nel
1990 La Famiglia di Nazaret. Qui Giuseppe è il
protagonista di primo piano, lavora una croce, dinanzi a
una tavola su cui si nota una brocca, del pane, e frutti
simbologici: una mela e dell'uva.
La stella davidica, distinguibile nella decorazione a
parete, richiama la stirpe; il fuoco manifesta lo Spirito.
Sul pavimento, la luce della finestra proietta un'ombra a
forma di croce; è segno dell'estremo abbassamento.
L'insieme dei temi e motivi che l'iconografia ha espresso,
riguardo la figura di Giuseppe artigiano, si rispecchiò
infine nelle immaginette sacre, in un processo di
continuità che attesta, al di là dei limiti
spazio-temporali, la persistenza di moduli figurativi di
molto anteriori, e la cui lettura, e decifrazione, apre la
via a cognizioni di sorprendente valenza culturale. Un
santino, particolarmente rappresentativo della tipologia
in esame, illustra la Sacra Famiglia nella bottega; qui
anche Gesù ha l'abito da lavoro, conformandosi a Giuseppe,
che presenta - specie a partire dall'istituzione della
festa di Giuseppe patrono del lavoratori, decretata da
Papa Leone XIII nel 1889 - l'abito da operaio, non più il
saio o l'abito confraternale, di cui era precedentemente
rivestito.