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Cardinale Joseph Ratzinger

LA TEOLOGIA DELLA LITURGIA

 

L’AMORE, CUORE DEL SACRIFICIO

La prima tappa deve essere una questione preliminare alla comprensione essenziale del termine sacrificio.

Si considera comunemente il sacrificio come la distruzione di una realtà preziosa agli occhi dell’uomo; distruggendola, egli vuole consacrare questa realtà a Dio, riconoscere la sua sovranità. Tuttavia, una distruzione non onora Dio. Ecatombi di animali o di qualsiasi cosa non possono onorare Dio. “Se avessi fame, a te non lo direi, mio è il mondo e quanto contiene. Mangerò forse la carne dei tori, berrò forse il sangue dei capri? Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli nell’Altissimo i tuoi voti” — dice Dio a Israele nel salmo 50 (49) 12-14.

In che cosa consiste allora il sacrificio? Non nella distruzione, ma nella trasformazione dell’uomo, non in questa o quella cosa, ma nella trasformazione dell’uomo. Nel fatto che diventa lui stesso conforme a Dio, e diventa conforme a Dio quando diventa amore. “E’ per questo che il vero sacrificio è qualsiasi opera che ci permette di unirci a Dio in una santa comunità” dice a proposito Agostino. A partire da questa chiave neotestamentaria, Agostino interpreta i sacrifici vetero testamentari come simboli che significano questo sacrificio propriamente detto, ed è per questo, dice, che il culto dove va essere trasformato, il segno doveva scomparire in favore della realtà “Tutte le prescrizioni divine della Scrittura con cernenti i sacr del tabernacolo o del tempio, sono delle figure che si riferiscono all’amore di Dio e del prossimo” (Città di Dio, X,5). Ma Agostino sa anche che l’amore diventa vero solo quando conduce l’uomo a Dio e così lo indirizza verso il suo vero fine; solo qui si può verificare l’unità degli uomini tra loro. Così il concetto di sacrificio rinvia alla comunità e la prima definizione tentata da Agostino si trova a partire da questo momento ampliata dal seguente enunciato: “Tutta la comunità umana riscattata, cioè l’unione e la comunità dei santi è offerta a Dio in sacrificio dal Gran Sacerdote che si è offerto lui stesso” (Ibid. X,6). E più semplicemente ancora:

“Tale è il sacrificio dei cristiani: la moltitudine, un solo corpo nel Cristo” (Ibid. X,6). Il “sacrificio” consiste dunque - diciamolo ancora una volta - nella conformazione dell’uomo a Dio, nella sua theiosis, direbbero i Padri. Consiste, per esprimersi in termini moderni, nell’abolizione delle differenze, nel l’unione tra Dio e l’uomo, tra Dio e la creazione: ‘Dio tutto in tutti” (1 Cor 15,28).

Ma come ha luogo questo processo che fa sì che diventiamo amore e un solo corpo con il Cristo, che noi diventiamo una sola cosa con Dio, come avviene questa abolizione della differenza?

Prima di tutto esiste a questo proposito una netta frontiera tra le religione fondate sulla fede di Abramo da una parte e dal l’altra parte le altre forme di religione come le troviamo in particolare in Asia, ma anche — probabilmente sulla base di tradizioni asiatiche — nel neo-platonismo di impronta plotiniana.

Là l’unione significa liberazione dalla finitezza che si svela infine come apparenza, abolizione dell’io nell’oceano del tutto che, di fronte al nostro mondo di apparenze, è il nulla, tutta via in verità è il solo vero essere.

Nella fede cristiana, che dà compimento alla fede di Abramo, l’unità è vista in modo completamente diverso: è l’unità dell’a more, nella quale le differenze non sono abolite, ma si trasformano nell’unità superiore degli amanti, quale si trova, come in archetipo, nell’unità trinitaria di Dio. Mentre, per esempio, presso Plotino, il finito è decadenza in rapporto all’unità ed è per così dire il livello del peccato e in quanto tale e al tempo stesso il livello di ogni male, la fede cristiana non vede il finito come una negazione, ma come una creazione, come il frutto di un volere divino, che crea un partner libero, una creatura che non deve essere abolita, ma deve essere compiuta e inserirsi nell’atto libero dell’amore. La differenza non è abolita, ma diventa la modalità di una superiore unità.

Questa filosofia della libertà, che è alla base della fede cristiana e la differenzia dalle religioni asiatiche, include la possibilità della negazione. Il male non è una semplice decadenza dell’essere, ma la conseguenza di una libertà male utilizzata. Il cammino dell’unità, il cammino dell’amore, è perciò un cammino di conversione, un cammino di purificazione, prende la figura della croce, passa attraverso il mistero pasquale, attraverso la morte e la risurrezione. Ha bisogno di un Mediatore che nella Sua morte e nella Sua resurrezione diventa per noi la via, ci attira tutti a lui (Gv. 12,32) e ci esaudisce.

Gettiamo un colpo d’occhio addietro. Nella sua definizione: sacrificio eguale amore, Agostino si appoggia con ragione sul termine presente sotto diverse varianti nell’Antico e nel Nuovo

Testamento che egli cita secondo Osea: Voglio l’amore e non il sacrificio (6,6; S. Agostino, La città di Dio, X,5). Ma questa

affermazione non mette semplicemente una opposizione tra ethos e culto - in questo caso il cristianesimo di ridurrebbe a un moralismo. Rinvia a un processo che è più che la morale - a un processo di cui Dio prende l’iniziativa.

Lui solo può avviare nell’uomo il cammino verso l’amore. È solo l’amore con cui Dio ama che fa crescere l’amore verso di Lui. Questo fatto di essere amato avvia un processo di purificazione e di trasformazione, nel quale noi non siamo solo aperti a Dio, ma uniti gli uni agli altri.

L’iniziativa di Dio ha un nome: Gesù Cristo - il Dio che si è fatto Lui stesso uomo e si dona a noi. Ecco perché Agostino può sintetizzare tutto questo dicendo: Tale è il sacrificio dei cristiani: la moltitudine è un solo colpo nel Cristo. La Chiesa celebra questo mistero con il sacrificio dell’altare, ben conosciuto dai credenti, perché in questo le è mostrato che nelle cose che essa offre, essa stessa è offerta (Ibid. X,6).

Chi ha compreso questo non sarà del parere che parlare del sacrificio della Messa è perlomeno altamente ambiguo e anche uno spaventoso errore. Al contrario: se non ritroviamo questa verità, perdiamo di vista la grandezza di ciò che Dio ci dona nell’Eucaristia.

 

Ndr: Il Santo Padre Benedetto XVI, l'allora Cardinal Joseph Ratzinger Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in data 27 luglio 2002 inviava all'art director di Técne Art Studio un Suo pro-manuscripto autografo che desideriamo riproporVi.

 


 
 
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